Dicono che per salvare la maggioranza di governo serva un patto di programma alla tedesca che dettagli i provvedimenti da prendere da qui a fine legislatura.

Peccato che il programma di governo particolareggiato l’Italia lo abbia già, contrattato non tra le forze politiche, ma dall’intero sistema, incluse grandi aziende di stato e amministrazioni pubbliche, con gli altri 26 stati dell’Ue.

Si chiama Piano nazionale di ripresa e resilienza e per il 2022 ha ancora in serbo, tra i tanti obiettivi e traguardi che verranno valutati per assegnare i fondi europei, tre riforme fondamentali che coinvolgono il parlamento, quindi a rischio di finire stritolate nel conflitto tra forze politiche.

A palazzo Chigi lo sanno bene, tanto che nella relazione sul monitoraggio del Pnrr di dicembre l’avvertimento era netto: «L’opzione di rinvii incompatibili con le tempistiche indicate non appare più percorribile».

Il calendario

Al 30 giugno del 2022, l’Italia deve aver approvato la delega per la riforma del codice degli appalti pubblici e delle concessioni, la riforma dell’amministrazione fiscale, la riforma della carriera degli insegnanti a cui seguirà anche una riforma complessiva della scuola ed entro la fine dell’anno deve essere approvata la legge annuale sulla concorrenza.

Quella dell’amministrazione fiscale è già cominciata con la riorganizzazione approvata con la delega fiscale e nei prossimi mesi il ministero dell’Economia di Daniele Franco dovrà dimostrare alla commissione europea a scadenze regolari di essere riuscito ad aumentare le entrare e aver diminuito l’evasione fiscale.

Sulla scuola, che dovrebbe essere il pilastro del paese, le riforme si annunciano più facili: le misure previste dal Pnrr, a partire dal cospicuo investimento sugli istituti tecnici superiori, sembrano mettere d’accordo l’arco politico e anche Confindustria.

Ostacolo concorrenza

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Sulla concorrenza e sugli appalti, invece, arrivano le complicazioni. Le due riforme hanno un punto comune: entrambe sono utili a riparare violazioni del diritto europeo da parte dell’Italia. Siamo riusciti a farci pagare dall’Ue per evitare di farci multare dall’Ue. Un ottimo affare, ma non è facile centrare l’obiettivo.

L’iter della legge per la concorrenza al Senato è appena cominciato: il dossier è stato assegnato alla commissione solo il 23 dicembre e i punti di conflitto sono molti. Due in particolare: le concessioni balneari e quelle idroelettriche. Sul primo, eccezione fatta per il M5s, che si è pentito e ora tra i pochi con PiùEuropa a sostenere la messa a gara delle concessioni, tutti i partiti sembrano sostenere le ragioni degli imprenditori balneari. La Lega, su tutti.

Dopo che il leader Matteo Salvini ha incontrato le associazioni dei balneari una per una, il ministro Massimo Garavaglia con il collega di partito Giancarlo Giorgetti e la ministra forzista agli Affari regionali Mariastella Gelmini hanno invitato i rappresentanti dei balneari in vista di un tavolo tecnico a cui partecipano anche le regioni.

L’avvocato Antonio Capacchione, presidente nazionale del Sindacato italiano balneari, che ha difeso (perdendo) le ragioni degli imprenditori di fronte al Consiglio di stato, spiega: «Ci siamo incontrati due volte e il ministro ci ha invitato a fornire un documento tecnico e a indicare i nostri tecnici di riferimento per la riforma delle concessioni. L’8 gennaio (cioè oggi, ndr) un incontro di tutte le associazioni, mai compatte come ora, indicherà i nomi e presenterà un documento unitario».

Possibile che la riforma della concorrenza sia fatta coi tecnici della lobby che deve regolare? Possibile che sulle concessioni delle spiagge italiane, che sono a rischio erosione, solo per citare uno dei tanti aspetti del problema, non si prendano in considerazione anche altre voci?

Il ministero dell’Economia da noi interpellato non si esprime sulla questione. Il governo Draghi sembra abdicare su questo alla Lega, ma non solo della Lega, più che sul green pass.

Concessioni e appalti

Sulle concessioni idroelettriche la riforma rischia di trovare l’opposizione delle regioni del nord, sempre a trazione leghista. Già ieri i responsabili dei rapporti coi comuni del partito hanno attaccato la ripartizione dei fondi del Pnrr per la «rigenerazione urbana», progetti per le periferie disagiate, che hanno lasciato quasi a secco Lombardia e Veneto.

È il codice degli appalti la riforma più complicata da varare. A settembre il Senato ha iniziato l’esame di un disegno di legge che dovrebbe delegare al governo la riforma snellendo le procedure e inserendo però clausole sul fronte sociale e ambientale. La Lega vorrebbe la mera applicazione delle direttive europee – niente limiti ai subappalti, quindi – la sinistra è spaccata. E se il parlamento non toccasse nulla? La delega al governo è vaga, ha avvertito il presidente dell’Anac, Giovanni Busia, e la semplificazione dovrebbe concentrarsi sulla digitalizzazione delle procedure, non sulla limitazione dei controlli.

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