Gli esperti sono concordi: la quantità di pioggia caduta in Emilia Romagna è stata straordinaria e nulla avrebbe potuto contenerla. Ma gli esperti convergono anche sul fatto che certi effetti negativi possono essere attenuati con controlli, risorse e maggiore programmazione sulla manutenzione del territorio.

Anche a questo fine sono destinate risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ha pubblicato nel febbraio scorso un’analisi relativa alle “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico” (Investimento 2.1), collocate nella Misura (M2C4.2) “Prevenire e contrastare gli effetti del cambiamento climatico sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio”. L’analisi della Corte consente di comprendere cosa non sta funzionando riguardo a quest’ambito del PNRR.

Il rischio idrogeologico in Italia

APN

Dal Rapporto 2021 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) sul “Dissesto idrogeologico in Italia” risulta che oltre 8 milioni di italiani vivono in zone a rischio di frana o alluvione. Oltre il 18,4% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità, con 7.423 comuni interessati (il 93,9% dei comuni italiani). Con riferimento alle risorse destinate al rischio idrogeologico, il Rapporto ReNDiS 2020 indica che lo stanziamento complessivo nel periodo dal 1999 al 2019 è ammontato a circa 7 miliardi di euro, mentre l’importo complessivo di richieste pervenute nel medesimo periodo – che rappresenta una stima del costo per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale – è stato pari a 26 miliardi di euro. È palese l’insufficienza delle risorse destinate a fronteggiare il rischio.

Un’analisi dei fattori che hanno rallentato la messa in sicurezza del territorio si rinviene nel “Rapporto sui tempi di attuazione delle opere pubbliche” del 2018, elaborato dall’Agenzia per la coesione territoriale (ACT-NUVEC). Riguardo agli interventi contro il dissesto idrogeologico, il rapporto evidenzia che la sola fase di progettazione copre oltre il 57 per cento del tempo di realizzazione dell’opera e che sulla durata dei lavori incidono fortemente i cosiddetti tempi di attraversamento, cioè l’intervallo tra la fine di una fase e l’inizio di quella successiva (dalla progettazione preliminare a quella definitiva e poi esecutiva, fino all’affidamento ed esecuzione dei lavori). È ciò che si suole definire come burocrazia.

La gestione delle misure per il rischio idrogeologico è stata oggetto di diverse indagini da parte della Corte dei Conti. In particolare, nel 2019 la Corte ha rilevato criticità determinate soprattutto dalla scarsa capacità di spesa e di realizzazione dei progetti, nonché dalla natura prevalentemente emergenziale degli interventi. Su questa situazione si è inserito il PNRR.

Il rischio idrogeologico nel PNRR

Il PNRR stanzia complessivamente 2,49 miliardi di euro per finanziare interventi il cui obiettivo finale consiste nella messa in sicurezza di un milione e mezzo di persone che vivono in aree a rischio idrogeologico. Di tali fondi, 1,287 miliardi sono di competenza del Ministero dell’ambiente e destinati a progetti in essere; 1,200 miliardi sono assegnati al Dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio e, di questi, un terzo è per progetti già in essere, mentre 800 milioni servono alla realizzazione di nuovi progetti per la riduzione del rischio di alluvione e idrogeologico, da completare entro il 31 dicembre 2025. Accanto agli investimenti, il PNRR prevede anche una riforma di semplificazione e accelerazione degli interventi di contrasto al rischio idrogeologico, che il ministero della transizione ecologica, nella relazione sull’attuazione del PNRR al 30 giugno 2022, ha dichiarato completata.

Nel rapporto del febbraio scorso, la Corte dei Conti rileva «la scarsità delle risorse assegnate dal PNRR», in relazione sia alla stima complessiva degli interventi necessari per la mitigazione del rischio idrogeologico, quale risulta dal citato rapporto dell’Ispra, sia all’obiettivo della messa in sicurezza di un milione e mezzo di persone. Dal rapporto emergono anche altri elementi che consentono di capire il motivo per cui, al di là delle scadenze del Piano, la realizzazione degli interventi per la tutela del territorio è costellata da errori, burocrazia e ritardi.

I progetti in essere e i nuovi progetti

La ricognizione dei progetti in essere, avviata nel giugno 2021 presso i commissari di governo per il dissesto idrogeologico, cioè i presidenti di regione, aveva riscontrato lavori per un importo complessivo pari a circa 723 milioni di euro, inferiore alle stime del ministero dell’Ambiente, pari a oltre un milione di euro. Nel luglio 2022, quindi un anno dopo l’avvio della ricognizione, a seguito di interlocuzioni tra ministero e regioni, i progetti erano stati integrati, tornando a un importo superiore al miliardo di euro. Tuttavia, essi non erano ancora in grado di garantire la messa in sicurezza di 1,5 milioni di persone.

Dopo nuove interlocuzioni, si è poi giunti a un elenco di ulteriori interventi, modificando al contempo la formulazione dell’obiettivo sulla protezione delle persone. Può immaginarsi che il risultato raggiunto sia frutto, più che di attenta pianificazione, di un’affannosa ricerca di progetti che consentissero di adeguarsi formalmente alla somma stanziata dal Pnrr. Un assurdo, considerato tutto ciò che servirebbe per la messa in sicurezza.

Quanto ai nuovi progetti, basta citare un episodio: nel novembre 2021 la dotazione delle relative risorse economiche era stata rimessa a un decreto del presidente del Consiglio (Dpcm). Tale Dpcm è stato adottato nell’agosto 2022, e la sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale è avvenuta nel dicembre 2022, quindi oltre un anno dopo.

Il tempo per l’adozione del Dpcm ha comportato uno slittamento nell’adozione dei decreti relativi all’approvazione dell’elenco degli interventi, fa presente la Corte dei Conti. Ciò non ha inciso sul rispetto delle scadenze del Pnrr, ma è palese l’assurdo dei tempi impiegati.

Le criticità

Criticità rilevate dalla Corte dei Conti nell’implementazione dei progetti per il rischio idrogeologico «risultano collegate, da un lato, alla novità della disciplina generale di gestione degli interventi Pnrr, in gran parte sopravvenuta a distanza di mesi dall’avvio dell’attività amministrativa attuativa degli impegni assunti nei confronti dell’Ue, e, dall’altro lato, alla rigidità delle procedure di rendicontazione nell’ambiente Regis, la cui eccessiva formalità non permette di tenere conto delle effettive caratteristiche delle singole gestioni».

Anche il presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), in Antonio Decaro, una nota dell’aprile scorso, ha esposto «le inadeguatezze e le lacune» del Regis, che «costituiscono un grave ostacolo» all’attuazione del Pnrr.

«Il notevole dispendio delle energie lavorative destinato alla risoluzione di entrambe le predette problematiche» – continua la Corte - «non può che distogliere le Amministrazioni dalla realizzazione dell’obiettivo finale della messa in sicurezza del territorio e della popolazione».

Questa grave accusa della Corte circa gli interventi sul dissesto idrogeologico è una chiave di comprensione del disastro di questi giorni in Emilia Romagna. Perché se è vero che le amministrazioni locali sono spesso impreparate alla gestione del Piano, le amministrazioni centrali hanno rilevanti responsabilità, come il rapporto del febbraio scorso rende palese.

Secondo il cronoprogramma del Pnrr, il termine per la realizzazione degli interventi è fissato alla fine del 2025. Ma la tutela del territorio dal rischio idrogeologico è connotata dall’intrinseca urgenza degli interventi, sia di prevenzione sia di ripristino. Il rischio non si adegua alle scadenze formalmente previste dal Piano. Forse è questo ciò che, più di qualunque altra cosa, andrebbe tenuto presente.

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