«Il primo tempo della partita», come martedì ha definito il voto del Senato un ministro dem, è finito con un pareggio. Ora che Italia viva si è consegnata definitivamente all’opposizione, inizia il secondo.

Ma la partita non durerà più di «due settimane». E’ il termine che rimbalza dal Pd. Ma alla riunione di maggioranza che Giuseppe Conte convoca a palazzo Chigi nel pomeriggio, prima di salire al Colle, il capodelegazione dem Dario Franceschini spiega che il tempo è meno: già mercoledì prossimo alla Camera e al Senato si voterà la relazione del ministro della Giustizia Bonafede sulla giustizia. E si rischia di nuovo.

Primo ostacolo

Martedì scorso al Senato, quando dal discorso di Conte Italia viva ha realizzato che il suo trasloco all’opposizione stava diventando definitivo, Matteo Renzi ha promesso che, libero dal vincolo di maggioranza, gli farà «vedere i sorci verdi». A partire proprio dal voto su Bonafede. Un vecchio conto che il Senatore fiorentino non vede l’ora di chiudere, per lavare dal curriculum di garantista nuovo di zecca, una delle tante macchie del passato: come non aver votato, all’inizio del 2020, gli emendamenti di Forza italia che abolivano la cancellazione (sostanziale) della prescrizione. E anche non aver votato la sfiducia al ministro presentata dalle destre. Dopo aver fatto fuoco e fiamme contro di lui, e dopo che Maria Elena Boschi, con un gruppetto di colleghi di partito, aveva partecipato alla maratona oratoria dell’Unione delle camere penali che chiedeva di fermare la riforma Bonafede, nel dicembre del 2019 in una piazza di Roma.

Ieri il voto sul nuovo scostamento di bilancio di 32 miliardi alle camere è passato senza problemi: al Senato sono arrivati 291 sì, nessun contrario e un astenuto. Era previsto. Eppure dal Colle, dopo l’incontro «interlocutorio» e nonostante la consegna del silenzio assoluto, è filtrata l’eco di un confronto severo. Il tentativo di un confronto su un nuovo incarico, il Conte ter, sarebbe stato più rischioso ma forse avrebbe trattenuto Italia viva nella maggioranza. La scelta del premier è stata diversa. E ora i tempi che Conte prospetta per un rafforzamento della maggioranza sono lunghi, e il voto di ieri ha dimostrato che la maggioranza non è sufficiente. Resta anche il nodo del Conte bis bis, oppure Conte ter: ovvero, se il premier vorrà far entrare un nuovo gruppo parlamentare nella sua maggioranza non potrà che passare per le dimissioni, consultazioni e nuova fiducia. Quello che fin qui palazzo Chigi ha fatto di tutto per evitare.

Sorci verdi

Il prossimo voto sulla giustizia non sarà di quelli cruciali. Ma sarà l’inizio della visione dei «sorci verdi», per la maggioranza. Per questo ieri alla riunione l’aria era pesante. Presenti i capidelegazioni delle (ormai) tre forze politiche (M5S, Pd e Leu) e i leader, cioè Vito Crimi e Nicola Zingaretti (il ministro Roberto Speranza come sempre presente nella sua doppia veste). Serve un allargamento della maggioranza, e subito. «Conte ha pochissimo tempo: dobbiamo capire nelle prossime settimane se ci sono le condizioni per un patto di legislatura per un rilancio della nostra azione», avverte Goffredo Bettini. «Stiamo lavorando al rafforzamento della maggioranza», rinforza il capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio.

Cercasi quarta gamba

Sulla fiducia alla Camera è arrivata la maggioranza assoluta. Al Senato invece sono arrivati solo 156 voti, compresi i Senatori a vita, che non possono reggere le sorti del governo come all’epoca di Prodi. I giallorossi, con Renzi, nelle migliori performance ne hanno presi 168. Franceschini, con il consueto pragmatismo, fa i conti. Per mettere in sicurezza la navigazione ne servono fra i 170 e i 174. Ne mancano almeno 15. E poi, in entrambe le camere, i «responsabili» dovranno essere organizzati in gruppi parlamentari, per consentire il lavoro delle capigruppo e delle commissioni. Non è dunque solo una questione numerica, «serve un collante». Alla Camera c’è il gruppo di Tabacci. Al Senato si lavora sul Maie in cui, secondo le speranze della maggioranza, dovrebbero confluire ex forzisti e ex Iv. I primi perché, dice ancora Bettini, «a una parte grande di Forza Italia non piace stare sotto il tallone di Salvini, non piace confondersi con forze che sono vicine a Orban e non a Merkel. Una legge elettorale proporzionale dà voce alle loro istanze». Renata Polverini e Mariarosaria Rossi, due forziste che hanno votato per Conte, vengono considerate le avanguardie di altri «responsabili azzurri».

I secondi, cioè i renziani, potrebbero arrivare perché il malumore c’è e - il Pd ne è sicuro - se martedì sera Renzi avesse dato indicazione di votare contro Conte, anziché astensione, sarebbe esploso subito. Iv è in confusione, «alcuni deputati sostengono ormai alla luce del sole che sarebbero disposti a sostenere anche un governo con la destra sovranista di Salvini. Pur di non andare al voto, aggiungiamo noi», è l’accusa del vicecapogruppo alla Camera Michele Bordo.

Insomma serve una forza «liberale e moderata» che possa fare da «quarta gamba» al governo. Non potrà essere una forza direttamente riconducibile al presidente Conte per evitare di far entrare in fibrillazione i Cinque stelle. «Io comunque la faccio», promette Clemente Mastella.

Chiunque la faccia, serve ad allontare quella che ieri Zingaretti, all’inaugurazione di Radio Immagina, la nuova radio dem su web, ha chiamato «salto nel buio». Allo stato, spiegano ancora al Senato «è praticamente impossibile approvare qualsiasi provvedimento, fatta eccezione per lo scostamento e il decreto ristori». «Occorre voltare pagina, rafforzare e ampliare la forza parlamentare di questo governo», spiega Zingaretti. I presupposti ci sono, giurano. Della partita delicata dei nuovi gruppi – due diversi alla Camera e al Senato – si occupa il sottosegretario Federico D’Incà.

Il tempo stringe. E Conte ha già dimostrato di essere più bravo a rallentare che a accelerare. E invece «bisogna in fretta tornare vicini ai problemi delle persone e dare una identità politica alla maggioranza», dice Zingaretti, «Bisogna correre sul Next Generation Eu, coinvolgere il Paese e in fretta, fare diventare quelle centinaia di migliaia di euro cantieri».

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