Le votazioni per eleggere i nuovi presidenti delle commissioni di Camera e Senato sono andate avanti fino a notte fonda. Il risultato è stato diverso da quello previsto dalla maggioranza e a pagarne le conseguenze è stato soprattutto il Movimento 5 stelle.

Gli accordi prevedevano infatti che il movimento cedesse al Partito democratico sette delle commissioni presiedute dalla Lega, ma anche due proprie: la commissione Esteri della Camera e quella delle Politiche comunitarie del Senato.

Su 28 commissioni permanenti, quattordici presidenze dovevano andare ai grillini, nove al Pd, quattro a Italia viva e una a Leu. I franchi tiratori, protetti dal voto segreto, hanno prodotto un risultato diverso. Le commissioni Giustizia e Agricoltura del Senato hanno confermato i presidenti uscenti Andrea Ostellari e Gianpaolo Vallardi della Lega, al posto dei due indicati dalla maggioranza: l’ex presidente del Senato in quota Leu, Piero Grasso, e il grillino Pietro Lorefice.

Un’altra crisi è stata sfiorata alla Camera, dove il Movimento 5 stelle è stato costretto a sostituire d’imperio dieci suoi componenti in commissione Finanze, perché contrari all’elezione, come da accordi di maggioranza, del deputato di Italia viva Luigi Marattin.

Il risultato della notte parlamentare ha aperto una resa dei conti interna al Movimento 5 stelle. Sotto processo il reggente, Vito Crimi, e i due capigruppo, Davide Crippa e Gianluca Perilli. L’accusa è quella di aver condotto male i negoziati, cedendo al Partito democratico, e di non aver saputo difendere gli interessi del gruppo.

“Ritengo che l’esito delle votazioni di ieri sia frutto di un mancato/scarso coinvolgimento del gruppo parlamentare, portando avanti una trattativa che doveva e poteva avere un esito diverso”, ha scritto il deputato 5 Stelle, Leonardo Donno, nella sua lettera di dimissioni da capogruppo in commissione Bilancio. E rivolgendosi ai vertici del Movimento li ha attaccati: “Avete creato spaccature enormi all’interno del gruppo”.

Lo scontro, l’ennesimo nel movimento, apre ufficiosamente la corsa per la successione di Crimi e la scelta del nuovo capo politico, con gli stati generali che, dopo il rinvio a causa del Covid, potrebbero svolgersi in ottobre.

Anche dentro il Pd, che pure ha ottenuto tutti e nove i presidenti di commissione pattuiti, la situazione è tutt’altro che tranquilla. Cinque eletti su nove, infatti, appartengono alla corrente base riformista, che fa riferimento a Lorenzo Guerini e Luca Lotti, e rappresenta la maggioranza in parlamento ma la minoranza nella segreteria di Zingaretti.

Soddisfazione, invece, arriva dalle file di Italia viva. La capogruppo Maria Elena Boschi, che ha gestito la trattativa per le commissioni, ha ottenuto il massimo per il suo gruppo, con due caselle chiave alla Camera: la commissione Finanze per Luigi Marattin e la Trasporti per Raffaella Paita. In particolare Marattin, che ha provocato la rivolta interna al M5s, avrà un ruolo chiave visto che la sua commissione è quella su cui Iv punta per far passare il “piano shock” da 120 miliardi in infrastrutture, già depositato in Senato.

A uscire sconfitto infine, oltre ai Cinque stelle, è l’ex magistrato antimafia Piero Grasso, che puntava alla presidenza della commissione Giustizia del Senato in quota Leu. A sorpresa è stato confermato il leghista Ostellari. Decisivo il voto segreto ma soprattutto il profilo “giustizialista” di Grasso, sgradito in particolare a Italia viva.

“La lealtà che abbiamo sempre dimostrato non è stata minimamente riconosciuta. In queste condizioni riteniamo che sia indispensabile un chiarimento immediato all’interno della maggioranza”, hanno detto i capigruppo di Leu Loredana De Petris e Federico Fornaro.

Privatamente, tuttavia, il sospetto che potesse finire in questo modo era forte. “Grasso ci teneva molto e ha insistito per ottenere quella commissione”, dice un dirigente di Articolo 1, sottolineando come sia stata una partita personale dell’ex presidente del Senato, “ma nessuno di noi vorrà trarre conseguenze politiche dalla sua mancata elezione”.

Anche perché non è escluso che a breve possano arrivare dei “risarcimenti”. Tra i parlamentari della maggioranza, infatti, si discute da mesi di un rimpasto di governo dopo le regionali di settembre. “È molto possibile che avvenga, anche se sarà limitato”, conferma un membro del governo di area zingarettiana del Pd. Anche in quest’ottica, il gruppo di Leu ha scelto di tenersi fuori dalla spartizione delle commissioni. L’obiettivo finale è quello di ottenere un ministero in più, oltre a quello della Sanità già guidato da Roberto Speranza.

I due ministri a rischio sostituzione sono quello dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e quello del Lavoro, Nunzia Catalfo. Entrambe in quota Movimento 5 stelle. Il posto di Azzolina è stato chiesto da Leu, mentre quello di Catalfo dal Pd. Tutte e due hanno un ruolo chiave nella gestione della ripartenza post-Covid e, secondo i democratici, finora hanno agito in maniera troppo opaca. Un rimpasto andrebbe incontro alla richiesta che il segretario, Nicola Zingaretti, ripete ormai da mesi: “Serve un cambio di passo nell’esecutivo”. Quanto successo sulle presidenze delle commissioni fa pensare che difficilmente i grillini saranno disponibili a cedere anche due ministeri. Molto dipende dall’esito delle regionali di settembre e dal voto al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Due appuntamenti che, in un modo o nell’altro, ridefiniranno i rapporti di forza all’interno della maggioranza che sostiene il premier Giuseppe Conte.

Una maggioranza che non smette di mostrare le proprie crepe. Ed è anche per questo che a palazzo Chigi si continua a lavorare per ottenere il sostegno esterno di Forza Italia, sempre più lontana dalle posizioni sovraniste di Lega e Fratelli d’Italia. Il partito di Silvio Berlusconi avrebbe un ruolo nella gestione dei fondi europei e nella definizione del piano delle riforme.

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