I gruppi di cattolici antiabortisti sono entrati, a pieno titolo, nella sanità pubblica. Carlotta Cossutta, Non una di meno Milano: «Tutta la sanità lombarda finanzia lautamente il privato con ospedali, consultori e ambulatori privati convenzionati. Il potere di Cl è particolarmente consolidato»
Il Centro di aiuto alla vita (Cav), sede operativa del Movimento per la vita all’interno della clinica Mangiagalli, ha compiuto a fine dell’anno scorso quarant’anni: il 12 novembre del 1984, infatti, apriva i battenti dentro un prezioso presidio di riferimento per la cittadinanza, all’interno del policlinico di Milano. In Lombardia ci sono 21 punti di ascolto ospedalieri, 20 sedi di Movimenti per la vita locali e 80 sedi di Centri di aiuto alla vita, tutti coordinati da Federvita Lombardia.
I numeri sono impressionanti: i Cav sono presenti all’interno degli ospedali cittadini in 10 delle 12 province lombarde e sono stati attivamente sostenuti dalla regione. A marzo 2024, infatti, la regione aveva approvato una mozione che si impegnava a «sostenere e diffondere, anche a livello informativo, il prezioso lavoro del Cav».
Dopo l’approvazione della mozione, per mappare la presenza dei Cav nel pubblico, il consigliere regionale Luca Paladini di “Patto Civico” aveva presentato una interpellanza. Proprio grazie a quest’ultima, si è scoperto che di 44 Cav presenti in regione, 18 sono presenti all’interno di consultori e presidi ospedalieri.
A fronte di questi dati, non si possono tralasciare gli ostacoli all’accesso all’aborto in regione causati dall’ingerenza dei movimenti anti scelta: secondo l’ultima indagine del gruppo regionale del Pd con i dati aggiornati a dicembre 2023, presentata dalla consigliera Paola Bocci, si è scoperto che in Lombardia ci sono solo 50 strutture pubbliche su 62 analizzate che erogano la prestazione di interruzione volontaria di gravidanza. L’obiezione di coscienza, se si guarda nel dettaglio di alcune province, ha ancora punte oltre il 72 per cento a Bergamo ed altre ancora più alte in alcuni singoli presidi ospedalieri, nonostante una media generale del 53 per cento.
Un potere radicato
Carlotta Cossutta, attivista di Non una di meno Milano, racconta a Domani: «Tutta la sanità lombarda finanzia lautamente il privato con ospedali, consultori e ambulatori privati convenzionati. Anche negli ospedali pubblici il potere di Comunione e Liberazione si è particolarmente consolidato». Lo ha fatto in tutti gli ambiti: «Dalla formazione fino ai primari ospedalieri, con una presenza capillare nel territorio».
C’è poi il caso Mangiagalli: un centro di salute pubblica fondamentale per la cittadinanza ma che ospita, al suo interno, anche il centro di aiuto alla vita (Cav): «Ha una doppia anima: da un lato è presente il centro antiviolenza, è l’unico ospedale della città in cui è possibile abortire con il metodo farmacologico ambulatoriale, ha un servizio di mediazione culturale e ha ginecologhe che per anni hanno portato avanti battaglie per il diritto all’aborto».
Allo stesso tempo, però, ospita il Cav anti scelta. Cossutta dice a Domani che come collettivo Non una di meno, negli anni hanno seguito il caso di una coppia «che era stata intercettata da quel Cav il quale aveva promesso loro una casa, in cambio del fatto che la donna non abortisse. Ma dopo un anno la coppia è stata sfrattata dalla casa, dimostrando come la retorica di cui questi centri si ammantano sia solo un’operazione di facciata».
La retorica sull’aiuto alla vita, per Cossutta, ha molta presa in tutti i settori della politica milanese e viene appoggiato e incoraggiato da svariati colori politici: «Le esperienze vengono descritte come se fossero indipendenti dal problema della crescita dell’obiezione di coscienza, dal potere dei primari di influenzare medici più giovani a seguire la strada dell’obiezione e come se fossero lontane dalla progressiva difficoltà di accedere al servizio all’aborto».
A Milano c’è un ulteriore problema che riguarda i servizi e le tematiche sociali: «Questi Cav sono privati e vengono presentati come se fornissero un supporto al welfare, come se colmassero dei vuoti». Questa tendenza viene portata avanti «da più di 30 anni da varie fazioni politiche, trasversalmente, per enfatizzare il privato sociale e delegare a strutture private la salute e i servizi pubblici. Questo apre la strada ad associazioni confessionali e anti scelta che pervadono la città».
Bergamo e i Pro vita
La propaganda anti scelta non viene portata avanti solo nei luoghi della salute. L’associazione Pro Vita e Famiglia, due anni fa, aveva chiesto di poter entrare nel Consiglio delle donne di Bergamo, ma la richiesta era stata messa ai voti e poi bocciata. L’amministrazione, a novembre, aveva pubblicato un avviso per chiedere nuove adesioni e in tal modo Pro Vita e Famiglia aveva presentato domanda e infine aderito, come prevede il regolamento, alla Carta dei Principi e dei Valori, entrando così nel consiglio.
La notizia ha destato preoccupazione nel Partito democratico e nella Rete Lenford – Avvocatura per i diritti Lgbti+. L’avvocata della Rete Lenford, Virginia Dascanio, dichiara a Domani: «Il consiglio delle donne di Bergamo ha come obiettivo quello dell’autodeterminazione delle donne. Quando Pro vita e famiglia ha deciso di aderire ci siamo domandate come fosse possibile che avessero aderito alla carta dei valori dato che la loro politica e il loro agire è sempre stato in grande contrapposizione con i principi del Consiglio delle donne».
L’avvocata Dascanio afferma: «Pensiamo che possa essere una sorta di pink washing nonché un modo per controllare ciò che avviene all’interno del consiglio». La Rete Lenford, per tutelare le donne e la comunità Lgbti+, afferma che si impegnerà «fin da subito, a verificare che i valori e i principi raccolti nel codice etico del Consiglio delle Donne siano perseguiti da tutte le sue partecipanti. Nessuna esclusa».
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