All’estero, perché in Italia non è possibile. Come è successo con gli aspiranti medici che non superavano i test di ammissione a medicina,  con gli avvocati che andavano in Spagna per prendere l’abilitazione professionale, o con le guide turistiche, da anni succede anche nel mondo della scuola: chi deve ottenere una abilitazione o una specializzazione, consapevole di avere poche chance per farcela a casa, tenta la strada delle speranza in altri paesi, preferibilmente Spagna, Romania o Cipro.

Una scommessa della disperazione, perché poi – a differenza di quanto assicurano alcune agenzie specializzate nel business – non c’è certezza che il titolo venga riconosciuto dal nostro ministero dell’Istruzione. Il costo varia dai 5mila ai 15mila euro, viaggi esclusi, ma, vedremo, in pochi viaggiano davvero. La scommessa la può tentare solo chi si può permettere un investimento del genere per uno stipendio in media 1400 euro.

Escursionisti esteri

Il fenomeno esiste da anni. In forza della direttiva Ue numero 55 del 2013, recepita in Italia con il decreto legislativo 15 del 2016 (e che a sua volta ha assimilato il decreto legislativo 206/2007 e 36/2005), i docenti che abbiano conseguito l’abilitazione all’insegnamento all’estero possono chiedere il riconoscimento del titolo. Per essere riconosciuta l’abilitazione deve valere nel paese rilasciante e gli insegnamenti devono corrispondere a quelli dell’ordinamento scolastico italiano. Ciclicamente la stampa fa affiorare qualche numero, sistematicamente il ministero smentisce. E sul tema resta sulle generali. L’ultimo ministro Patrizio Bianchi non fa eccezione.

«Il corso di specializzazione estero erogato in convezione esclusiva con prestigiose università romene è perfettamente conforme a quanto richiesto dalla direttiva europea. L’Italia in qualità di membro della Comunità europea NON PUÒ (maiuscolo nel testo, ndr) astenersi dall’applicare fermamente, sempre e comunque, una normativa comunitaria che difatti si posiziona al di sopra delle normative dei singoli stati», recita uno dei siti da cui vengono le promesse. Si offre assistenza burocratica e giuridica (a fronte di pagamenti sostanziosi).

La verità invece è che i riconoscimenti vanno per le lunghe. Fioccano i ricorsi; i titoli stranieri fluttuano nel limbo degli oggetti smarriti. Su un caso specifico nel 2018 il Tar del Lazio (sentenza 9816) dichiara illegittimo il silenzio-inadempimento del ministero e ordina di adottare un provvedimento entro 30 giorni; non succede nulla. Dunque lo stesso Tar con ordinanza numero 805 del 2019 nomina il prefetto di Roma o un funzionario da lui delegato commissario ad acta; anche stavolta non succede nulla. Alla fine il ministero rigetta il riconoscimento. Si procede ancora a colpi di Tar.

Perché succede

Il fatto è che in Italia sia le abilitazioni all’insegnamento che le specializzazioni per il sostegno sono spesso irraggiungibili. Le prime sono state sospese dal 2014, e a lì siamo fermi se si esclude il concorso straordinario del 2020 (aperto a chi aveva almeno tre anni di precariato). «Gli abilitati sono solo quelli vecchi», spiega Manuela Pascarella, responsabile nazionale reclutamento Flc Cgil, «i nuovi precari non hanno alcun tipo di sbocco». Va anche peggio con le specializzazioni, che sono corsi organizzati dall’università. Il numero annuale è meno di un terzo rispetto ai posti, circa 80mila. Dal 2020 aumentano, ma non coprono il fabbisogno. E così soprattutto ai prof, soprattutto quelli delle regioni del sud (Calabria, Campania, Puglia), alcune agenzie offrono il titolo facile: basta fare un giro su Google. Quando dal sito si passa alla telefonata confidenziale, viene fatto capire che si può anche non andare all’estero, figuriamoci ora con la pandemia. L’agenzia può arrivare fino a fornire il suo cliente di una diffida da consegnare agli uffici – per esempio quelli sindacali – che oppongono perplessità al titolo. All’inizio dell’anno scolastico 2020/2021, nelle graduatorie di province quali Reggio Calabria o Trapani molti insegnanti di sostegno risultavano avere conseguito la specializzazione in Romania o in Spagna. Il costo è alto, ma anche un «Tfa» – Tirocinio formativo attivo, il percorso scelto dal Miur per permettere agli aspiranti docenti interessati di conseguire la specializzazione richiesta agli insegnanti di sostegno – può costare intorno ai 3mila euro di tasse universitarie.

Zero titoli

La vicenda torna alla ribalta all’inizio della settimana. Su segnalazione dei colleghi palermitani, la Flc Cgil scuola scrive a viale Trastevere. Pascarella insieme alla collega Manuela Calza denunciano che vengono segnalate «numerose istanze di inserimento degli elenchi aggiuntivi delle graduatorie provinciali presentati da docenti che hanno conseguito il titolo di specializzazione all’estero ma che non hanno ottenuto il riconoscimento del titolo in Italia». Stavolta si tratta della specializzazioni: un numero consistente di prof si sta iscrivendo alle graduatorie per il sostegno pur essendo ancora in attesa del riconoscimento del titolo ottenuto all’estero. E qui siamo al cretinismo tecno-burocratico. A spiegarlo è Fabio Cirino, responsabile del capoluogo siciliano: «Il modulo quest’anno non aveva l’opzione “con riserva”, permetteva comunque l’inserimento indicando data di presentazione dell’istanza di riconoscimento, in contrasto con decreto ministeriale 51 del 2021. Questa storia del riconoscimento dei titoli va avanti da molto tempo, è ora che il ministero si assuma la responsabilità di decidere una volta per tutte ponendo fine ai

contenziosi in atto ed alle “riserve perenni”». Il ministero capisce la gaffe e dirama una nota interna. Tutte le domande con titoli all’estero saranno rigettate ma non rientrano «tra le competenze di questo ministero» ma di quello dell’Università, che ora è separato.

I colleghi

Molti che si vedono sorpassati dagli “escursionisti esteri”, si organizzano: «È diritto degli studenti con disabilità avere docenti pienamente formati che sappiano garantire il successo formativo creando una scuola inclusiva», spiega Francesca Roccuzzo dell’associazione Mondos, Movimento nazionale docenti di sostegno. Ma in Spagna e in Romania, per esempio, «il principio dell’integrazione degli studenti disabili che abbiamo noi non c’è: che tipo di tirocinio fanno i docenti che conseguono il titolo? E in che lingua, visto che devono conseguire un titolo valido anche nel paese in cui fanno la specializzazione?».

Ma la domanda di fondo è: perché un docente deve spendere all’estero quello che eventualmente guadagnerà in un anno, o dieci mesi se gli va bene? Risponde Roccuzzo: «C’è una sperequazione dei posti attivati dall’offerta formativa dei Tfa fra nord e sud in relazione ai posti vacanti, presenti soprattutto al nord. È assurdo che in Sicilia, solo con il sesto ciclo Tfa, si specializzeranno più di 5mila docenti, mentre la Lombardia, la regione con maggior numero di posti disponibili ne specializzerà soltanto 700, il Piemonte 400 e così via. È necessario che il ministero riequilibri l’offerta formativa tenendo in considerazione il numero dei posti vacanti, che è assai più alto al nord rispetto al sud, in modo da evitare i “viaggi” all’estero».

«Comprare un titolo o studiare è diverso», attacca Giovanna D’Agostino, presidente dell’associazione Insieme per il sostegno, «i corsi fatti all’università’ durano un anno, prevedono laboratori, tesi, i tirocini. È lo stesso percorso formativo che si può conseguire in Romania? E in che lingua? Siamo pronti a una diffida. Non si scherza con la vita dei bambini».

La replica del ministero

Da viale Trastevere ottenere dati sul punto è mission impossible. Il capo dipartimento per il Sistema educativo è Stefano Versari. La direttrice generale per gli Ordinamenti scolastici è Maria Assunta Palermo. Ma la risposta viene dal ministero dell’Istruzione. Da dove fanno sapere che «ci sono diversi contenziosi aperti» e che «il ministero ha rigettato numerose istanze di riconoscimento (...) che lo stesso Tar aveva giudicato non abilitanti per mancanza dei presupposti giuridici. Oggi l’orientamento della giurisprudenza è cambiato a seguito di numerosi pronunciamenti del consiglio di Stato. Il ministero, pertanto, è al momento impegnato nel riesame delle posizioni dei ricorrenti, e continuerà a tutelare la qualità della didattica attraverso l’assegnazione di adeguate misure compensative, quali esami o tirocini integrativi, in presenza di percorsi esteri carenti». Infine sulle abilitazioni in generale: «È vero che per molto tempo in Italia è stato complesso abilitarsi e i concorsi erano poco frequenti. Ma non è più così. L’abilitazione per insegnare alla scuola dell’infanzia e alla primaria si ottiene già da anni con uno specifico corso di laurea. Per la secondaria di primo e secondo grado ci sono i concorsi che, negli ultimi anni, da dopo il 2015 in particolare, sono stati banditi con più frequenza. Proprio in queste settimane stanno partendo ulteriori procedure straordinarie. E sul sostegno sono stati aumentati i posti nelle specializzazioni (portati a 20mila nell’ultima tornata), che saranno ora ulteriormente incrementati tenendo conto della mancanza di specializzati. Come ha annunciato il ministro Bianchi durante un question time».

Però secondo Pascarella «l’affermazione che i concorsi sono banditi con più frequenza è fuorviante perché i concorsi del 2016 e del 2018 erano preclusi a chi non possedeva l’abilitazione». Per questo i viaggi della speranza dei prof vanno avanti.

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