Doveva essere una prova della compattezza del centrodestra, nonostante Fratelli d’Italia sia all’opposizione e Lega e Forza Italia nella maggioranza. «Il presidenzialismo è una battaglia storica del centrodestra, che col voto di oggi dimostrerà che sulle grandi questioni di merito si ritrova compatto», ha detto Giorgia Meloni nel suo intervento in aula. Invece, il voto sulla legge costituzionale sul presidenzialismo è una sfida superata solo a metà dalla zoppicante alleanza di centrodestra.

Formalmente, infatti, Lega e Fi ma anche Coraggio Italia si sono espressi a favore della riforma costituzionale. Nei fatti, però, in aula hanno pesato in modo determinante le assenze tra i loro banchi parlamentari.

La legge, infatti, non è passata per pochi voti: è stata bocciata 236 a 204, con 19 astenuti di Italia Viva. Fin qui l’esito era previsto alla vigilia - ma proprio visto lo scarto ridotto – l’attenzione era tutta per gli assenti non giustificati dal fatto di essere in missione: 26 tra i leghisti e 16 tra gli azzurri. Troppi, quei 42 assenti, soprattutto quando avrebbero potuto fare la differenza.

Nonostante le raccomandazioni della vigilia e le richieste di unità di Meloni, quindi, in aula si è ripetuta la stessa scena già vista in commissione. In commissione Affari costituzionali, infatti, la legge costituzionale era stata bocciata ed è arrivata in aula con parere favorevole proprio a causa dell’assenza determinante di due membri, uno di Fi e uno della Lega. Davanti alle ire di Meloni, gli alleati avevano parlato di assenze del tutto casuali e avevano garantito piena sintonia sulla riforma di tipo presidenziale. Esattamente come hanno fatto anche in Aula, salvo tornare a farsi trovare con troppi assenti non giustificati.

Lo scontro Pd-FdI

Durante il dibattito in aula lo scontro è stato acceso, con il deputato dem e costituzionalista Stefano Ceccanti che ha definito la riforma un «bricolage costituzionale» che non riforma l’impianto ma modifica solo alcune parti creando un sistema non davvero funzionante e utile solo in senso elettorale, visto che l’approvazione di una legge costituzionale è quasi impossibile in fase di fine legislatura. Meloni, invece, ha ricordato l’accidentato percorso per l’elezione del presidente della Repubblica in gennaio e definito il presidenzialismo «la madre di tutte le riforme per chi pensa che la sovranità spetta al popolo» accusando Pd e M5S di non volerne nemmeno discutere perchè troppo spaventati dal fatto che con un sistema presidenziale avrebbero perso le elezioni. 

Al termine del voto, invece, il vicepresidente della Camera di FdI, Fabio Rampelli, ha accusato Pd e Cinque Stelle di essere «golpisti bianchi» e la democrazia parlamentare «il loro cavallo di Troia per assediare Palazzo Chigi. Salvo poi governare a colpi di fascistissimi decreti legge e fiducie». Parole dure a cui ha subito replicato il deputato dem Emanuele Fiano, mettendo proprio in luce come i voti mancanti per la loro riforma fossero quelli della destra: «La bocciatura è arrivata per le numerose assenze fra quelli che dovrebbero essere i suo i alleati. Non guardi i banchi di fronte a lui, Rampelli, ma si giri verso quelli a lui più vicini. Almeno, se vuole capire ciò che realmente è successo».

Dai leader dei tre partiti non sono arrivati commenti ufficiali sull’esito del voto, ma anche i silenzi pesano e i conti sono stati fatti: il dato chiaro è che le assenze hanno pesato come non avrebbero dovuto. La prova di ricucitura, quindi, è riuscita a metà, nonostante i proclami di primi sostenitori del presidenzialismo fatti fa Fi e le rassicurazioni di Salvini poco prima del voto.

Se Fratelli d’Italia ha già annunciato che ripresenterà la proposta di elezione diretta del presidente della Repubblica nella prossima legislatura, incerta è l’alleanza con cui si presenterà e il voto di oggi non aiuta a rasserenare gli animi nel centrodestra.

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