Le ultime tre tappe, quelle di ieri, sono state Vittoria, Grammichele e Caltagirone. Domani e lunedì in Sicilia si votano le amministrative e il vicesegretario Pd Peppe Provenzano – classe 1982, siciliano della provincia di Caltanissetta, studioso del sud, ex vicedirettore della Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – è sceso a casa sua per battere a tappeto i comuni al voto. A Caltagirone, ieri sera, ha affrontato la sfida diretta con il presidente della regione Nello Musumeci, che sostiene il sindaco uscente e segretario del suo movimento «Diventerà bellissima».

Piazze vicine, comizi in contemporanea. A chi gli chiede se c’è un di più di personale in questa campagna elettorale, Provenzano risponde: «Certo, la Sicilia è la mia passione e la mia ossessione». Ma non fa finta di non capire e chiarisce: «Sono qui nella mia qualità di vicesegretario del Pd nazionale, in questa veste negli ultimi mesi ho girato tutta Italia per le amministrative». Ma c’è di più.

Evitare l’effetto Calabria

Il fatto è che il voto regionale della Calabria ha scottato il segretario Enrico Letta. È finita in un disastro: tre nomi bruciati in sequenza (Nicola Irto, Maria Ventura, prima ancora Enzo Ciconte) la sinistra sparpagliata, la candidata presidente Amalia Bruni sotto il 30 per cento. «Amalia è stata generosa, va ringraziata con affetto. Ma sono stati fatti errori da non ripetere mai più. Per la Sicilia ci muoveremo per tempo», ha spiegato ai suoi Letta già all’indomani del primo turno. In Sicilia il parlamento regionale si rinnova nell’autunno del 2022, fra un anno. C’è tempo. Ma non c’è tempo da perdere. E l’indiziato numero uno per la corsa da presidente della regione è Peppe Provenzano.

Le controindicazioni in realtà sono molte. Intanto sarebbe una corsa tutta in salita: il centrodestra dell’isola oggi è spaccato, ma per il voto c’è da scommettere che si riunirà. Per il Pd una sconfitta a sei mesi dalle elezioni politiche, per di più incassata dal braccio sinistro del segretario, non sarebbe una buona partenza.

Il centrosinistra potrebbe avere qualche chance di vittoria solo con un’alleanza vera, larga, con dentro importanti settori centristi. Ma anche M5s. Mica facile: i Cinque stelle in Sicilia hanno la loro ultima roccaforte. Accetterebbero di sostenere il vicesegretario Pd? Ovvero ammetterebbero di essere il “junior partner” della coalizione?

Provenzano e gli altri

A chi glielo chiede, Provenzano risponde che la corsa gli piacerebbe, ovvio, ma non ambisce «e comunque non decido da solo». Difficilmente potrebbe sfilarsi nel caso glielo chiedessero Giuseppe Conte e il suo stesso segretario. Che però dovrebbe rinunciare alla sua ala sinistra, con cui ha costruito un solido rapporto. E infatti al momento Letta si attesta su un riflessivo «devi scegliere tu». Allo scorso giro Provenzano ha rinunciato a correre per le suppletive romane. Stavolta sono in molti di più a chiedergli di pensare alla Sicilia. Dagli ambienti più disparati: qualche imprenditore, un vescovo. E un illustre giurista: la scorsa settimana, alla commemorazione di Emanuele Macaluso, il dirigente comunista siciliano (di Caltanissetta) di cui l’ex ministro è stato figlioccio politico, il professore Giovanni Fiandaca, autorevole garantista e studioso di diritto penale, oltreché del fenomeno mafioso, lo ha preso per un braccio: «Ci pensi, Provenzano, la Sicilia ha bisogno di una speranza».

Non sono tutti consigli disinteressati come questo: ci sono anche quelli che vedono di buon occhio l’idea di allontanare da Letta uno non precisamente adesivo all’agenda Draghi. Il tempo c’è, ma il caso Calabria insegna al Pd che i candidati vanno scelti per tempo e con cura. Meglio vagliare tutte le ipotesi. Quella di Provenzano non è l’unica. Nei mondi del sociale e del volontariato circola un altro nome “pesante”: quello di Pietro Bartolo, per trent’anni medico di Lampedusa e ora stravotato europarlamentare nelle liste del Pd.

© Riproduzione riservata