Il responsabile Esteri del Partito democratico: «Il Manifesto di Ventotene è la carta fondamentale contro i nazionalismi. Per questo non stupisce che Meloni lo attacchi». Su RearmEurope: «Noi vogliamo la costruzione di una vera difesa europea, la premier punta ad affidare la difesa agli investimenti privati. Il riarmo nazionale è la strada sbagliata, produce asimmetrie»
Sabato 22 marzo Peppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd, sarà sull’isola di Ventotene per un’iniziativa su Altiero Spinelli, il padre dell’Europa «insultato» – secondo il Pd – dalla premier. Che invece a sua volta sostiene di essere stata insultata lei, dai «nostalgici» del Pd. «Per dire la verità», spiega il deputato, «Meloni è stata ripresa anche dal presidente della Camera».
«Perché vede, tutte le nostre istituzioni hanno sempre celebrato lo spirito del Manifesto di Ventotene, che è la carta fondamentale contro i nazionalismi. Per questo non stupisce che Meloni lo attacchi. Ma noi in aula abbiamo reagito contro il suo tentativo, perfettamente trumpiano, di spaccare le fondamenta costituzionali della nostra comunità nazionale ed europea, al di là di ogni divisione politica. Certo, era una tattica per non parlare della crisi strategica del governo. Ma al prossimo problema con Salvini, Meloni che farà? Dirà che la costituzione è bolscevica e non è la sua idea di paese?»
Il governo vive una crisi strategica?
Meloni è in una condizione di estrema difficoltà, non solo perché è incapace di governare, non sa cosa fare sui dazi, ma perché tutta la sua strategia è fallita. Aveva puntato tutto sul ruolo di ponte fra Trump e l’Europa, e invece tra le due sponde dell’Atlantico Trump si è aperta un’enorme voragine, dove lei rischia di farci sprofondare. La sua idea di un’Unione europea delle nazioni, sulla quale aveva puntato col suo amico Orbán, dimostra di non funzionare: se prevalgono gli egoismi nazionali l’Ue non riesce a rispondere alle minacce e alle sfide a cui è sottoposta. Gli alleati che la premier si è scelta sono i principali ostacoli all’integrazione, che è nell’interesse italiano. Si capisce il suo nervosismo.
Una delle alleate di Meloni è von der Leyen, di cui FdI ha votato il piano ReArm Eu. E al Consiglio europeo la posizione dell’Italia non è così diversa da quella di altri governi.
Noi siamo stati i primi ad avanzare critiche a quel Piano. E, depositata la polvere delle polemiche delle prime ore, si capisce sempre più che le nostre critiche erano fondate. Il problema è verso cosa indirizzi la critica. Noi vogliamo la costruzione di una vera difesa europea, Meloni invece punta ad affidare la difesa agli investimenti privati. Alla fine non ci sarà alternativa alla nostra idea, autorevolmente sostenuta in parlamento anche da Mario Draghi: serve il debito comune europeo e non gravare sui bilanci dei singoli stati. Ma Meloni si contraddice: aveva chiesto lei di scorporare le spese militari dal Patto di stabilità, e non ha capito che così stava facendo solo l’interesse della Germania.
Anche i socialisti europei hanno votato sì al piano di riarmo, a partire dal presidente spagnolo Sánchez. Il Pd ufficialmente si è astenuto.
Il voto in realtà era sulla difesa europea, un percorso che noi condividiamo ma con le nostre idee e la nostra critica radicale al Piano von der Leyen, perché favorisce soprattutto un riarmo nazionale che non produce né deterrenza né indipendenza strategica dagli Usa. Al prevertice del Pse è stato approvato un documento che accoglie molte delle nostre critiche e proposte. Nella discussione dei socialisti noi siamo protagonisti, non è la prima volta che apriamo una battaglia. Era già successo sull’immigrazione, e alla fine i socialisti europei sono arrivati sulle nostre posizioni. Ma questi confronti non vanno strumentalizzati a fini di polemica interna. Ricordo che l’Spd ha votato contro la Commissione, eppure nessuno si sognerebbe di descrivere quel partito come isolato nel gruppo europeo, o inadeguato a governare. La nostra battaglia per rafforzare anche la spinta federalista, non così diffusa anche in casa progressista, sarebbe più forte se ci presentassimo uniti come lo siamo stati nelle Camere in Italia.
Lo statement del Pse in realtà dice che «il pacchetto ReArm Eu è solo un primo passo», tuttavia un passo.
Ma non dice «welcome», come la risoluzione. Dice «take note». Cioè non «accoglie» ma «prende atto» del piano di riarmo e poi suggerisce tutte le nostre idee di modifica. Ma guardi, non so cosa resterà di quel piano originario, siamo già in un’altra fase e serve una discussione più ampia a partire dal prossimo congresso Pse. Se i socialisti fanno il loro mestiere, non sono destinati a essere tagliati fuori dalla storia e a rassegnarsi al trionfo dei nazionalisti. Come sui dazi: dobbiamo incalzare Meloni che vuole lasciare indifesi i nostri imprenditori e lavoratori per compiacere Trump. Salvini dice addirittura che i dazi sono «un’opportunità». Dobbiamo spingere l’Europa a una risposta che non sia solo difensiva e che colpisca, per esempio, le Big tech e gli oligarchi dell’economia digitale come Musk, la cui presenza nelle economie europee è diventata minacciosa. Per combattere il protezionismo serve, dal punto di vista progressista, rilanciare gli investimenti e i consumi, per esempio alzare i salari. Noi proponiamo un Next generation per l’autonomia strategica.
La sua segretaria ha detto che Trump non sarà mai un vostro alleato. Non è un’affermazione azzardata per chi si candida al governo?
Bisogna distinguere le relazioni fra Italia e Usa, che vanno al di là dei governi. Ma bisogna anche prendere atto dei progetti politici dei governi in carica. A scavare un fossato fra Usa e Europa è stato Trump, fin dal giorno del suo insediamento, mentre Meloni si spellava le mani, non una gran prova di dignità per una sovranista. E poi con la dichiarazione di una guerra commerciale. Noi sosteniamo chi negli Usa combatte per impedire che quella democrazia si trasformi, come dicono molti democratici, in un’oligarchia con tratti di autoritarismo.
Presto all’Europarlamento si voterà il Libro bianco della difesa e la modifica del Patto di stabilità sulle armi. Il Pd sarà unito o si ridividerà?
Non le sarà sfuggito che nel parlamento italiano il Pd ha votato unito. Tutti paventavano la spaccatura e la sconfessione della linea della segreteria. E invece su quella linea, sì alla difesa europea e no ai riarmi nazionali, entrando nel merito, abbiamo raggiunto la massima unità.
Comunque vi chiarirete dopo la spaccatura a Strasburgo?
Anzitutto dovevamo rendere chiara la linea e lo abbiamo fatto in Parlamento. Dobbiamo continuare a discutere, non solo nei gruppi dirigenti ma coinvolgendo la nostra base. È un dovere e una responsabilità di fronte a questo tornante drammatico della storia, che suscita spaesamento nei cittadini: un grande partito che si candida al governo non può esprimere due posizioni. Deve averne una e comprensibile.
Nel parlamento italiano voterete l’aumento delle spese militari?
Abbiamo già votato no nella legge di Bilancio, quando il governo ha dirottato i soldi dell’automotive, malgrado la crisi del settore, alle spese militari. Perché la difesa, per essere realmente efficace, debba essere fatta a livello europeo, con il coordinamento, l’integrazione, sia industriale che operativa. È questo l’interesse dell’Italia e dell’Europa. Il riarmo nazionale è la strada sbagliata: produce asimmetrie tra i paesi e rischia, peraltro, di armare i nazionalismi.
La Germania non è un paese nazionalista.
No, la Germania, dopo anni in cui ha imposto a tutta Europa l’austerità, adesso la abbandona in patria. Bisogna che questa svolta la produca a livello europeo anche negli investimenti nel sistema produttivo e nella coesione sociale, che è l’elemento distintivo del modello europeo e che può renderla forte nel mondo.
Sul Piano di riarmo la posizione del Pd e quella di M5s è simile. Ma ormai, dopo le armi all’Ucraina, anche l’Europa è un argomento divisivo per le opposizioni. Anziché avvicinarvi, vi allontanate?
Nelle opposizioni le differenze ci sono. Il Pd sostiene l’Ucraina con ogni mezzo, anche militare, ma da anni reclama un’iniziativa diplomatica dell’Europa: non ci rassegniamo alla “pace degli imperi”, quella che premia i più forti, ma vogliamo una “pace europea”, cioè giusta e sicura che, con la fine del conflitto, non decreti la fine del diritto internazionale. Abbiamo costruito l’unità delle opposizioni sul Medio Oriente, su cui l’Europa è inerte e usa una doppia morale, proprio sul diritto internazionale. Ma quello che vale in un partito vale anche in una coalizione: ci possono essere diversità, ma sulla collocazione dell’Italia in Europa e sul ruolo dell’Europa, per la costruzione di un’alternativa di governo credibile non ci possono essere ambiguità. Penso che su una pace giusta, sul diritto internazionale, sulla ricostruzione di un ordine multilaterale, si debbano porre le basi per un lavoro serio e credibile.
Anche sul rapporto fra M5s e Trump?
Certo. Peraltro, in queste settimane, con la sua deriva trumpiana, il governo italiano ha fatto un salto di qualità allarmante, che rischia di produrre danni nel Paese e di aumentare le contraddizioni nella maggioranza. Questo ridurrà la capacità di governo di Giorgia Meloni, peraltro già scarsa. A fronte di questo, costruire un’alternativa non è una responsabilità che può gravare solo sul Pd.
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