Alla fine del primo giro di consultazioni del presidente del consiglio incaricato è emersa l’orgia del giustificazionismo. Vito Crimi, con un penoso balbettìo, ha declassato il confronto a una «chiacchierata». Matteo Salvini, altro giustificazionista ma abile e con faccia tosta, ha recitato la parte di vecchio europeista e vecchio unitario. Mentre parlava d’altro, gli è sfuggito, come sgorgato dal profondo, che era il giorno di Santa Dorotea. Nel Pd si apre una partita. Da una parte, l’area della revisione dell’autonomismo di pensiero di un nuovo socialismo in Italia e in Europa. Dall’altra, quelli del vecchio retaggio del frontismo, oggi per l’alleanza strategica con M5s. I Cinque stelle sono diventati la risorsa aurea del Pd. Negli scorsi trent’anni sono stati al governo o all’opposizione ma comunque sempre all’ombra di un’altra forza politica. Almeno prima erano all’ombra dei cattolici, adesso sono all’ombra di Grillo.

Su cosa dovevano pronunciarsi i partiti? Torniamo al mandato ricevuto da Mario Draghi. Dopo l’esplorazione di Fico, al presidente della Repubblica è stata consegnata l’impossibilità di una maggioranza politica. Mattarella prende atto e fa un disperato discorso, un’operazione fuori dal suo schema tradizionale di rispetto formale della Carta. Dice: constato che non c’è una maggioranza politica, il mio potere-dovere è sciogliere le camere, prendo la responsabilità di un atto di infrazione, faccio appello a dare la fiducia a un governo di un’alta personalità che salvaguardi l’unità con un governo «senza una precisa formula politica». Nasce il governo Mattarella-Draghi. È Mattarella a chiedere su di esso la fiducia.

Dopo la prima cascata di no, matura il contrordine delle forze politiche che cercano il modo di giustificare la convergenza sul sì. Perché questo governo nasce da un atto di coraggio del Colle ma anche dal principio naturale di quando il sistema decisionale democratico entra in crisi: se non riesci ad avere una maggioranza ti devi accontentare della unanimità. Il Colle ha detto a un uomo che ha un curriculum internazionale di altissimo profilo: tu crea tutte le condizioni democratiche per fare funzionare la macchina e risolvere le emergenze. E alle forze politiche: la tregua consente una riflessione di ogni singolo partito sulle ragioni perché in trent’anni alternandovi, alleandovi, dividendovi, nelle combinazioni più strane, avete fallito tutti nel creare un passaggio da una democrazia fragile a una democrazia compiuta. Oggi invece siamo una democrazia in disfatta.

Questo governo ha davanti un viottolo stretto e pieno di inciampi. Ha pochi mesi in cui può sfruttare la forza del Colle, la debolezza del sistema politico che non ha una soluzione alternativa, e l’acquietamento dell’area mobile di ascari parlamentari che sbandano da una parte all’altra sotto l’incubo del voto. A fine luglio scatta il semestre bianco. In pochi mesi il governo Mattarella-Draghi deve fare il possibile per rendere irreversibili alcune riforme profonde, sul fisco, sul lavoro, sulla giustizia. Rendere operativa la macchina degli interventi economici e compiere qualche atto significativo di spostamento fra spesa cattiva in spesa buona. Sul piano istituzionale, varare una legge proporzionale perché il prossimo parlamento sia costituente.

Se invece la decomposizione è entrata ormai nelle ossa del sistema politico italiano, allora non resterà che ciondolare fra catastrofismo e miracolismo. Un giorno la paura del crollo, un altro giorno il sogno del miracolo.

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