La salita a Monte Cavallo si è conclusa con un secondo mandato per Sergio Mattarella. Epilogo inaspettato, ma non troppo, visto che era sempre rimasto sullo sfondo di tutte le trattative e le riflessioni dei leader e dei partiti.

È stato un finale responsabile, cui si è ricorsi dopo una serie di tentativi andati a vuoto per convergere su una personalità all’altezza della situazione. Ma certo, segna una “sconfitta dei partiti”, come ha notato su Domani Stefano Feltri ea ha stigmatizzato Rino Formica in un colloquio con La Stampa. E ora i leader riflettono e cercano di metabolizzare questo epilogo per trovare la strada giusta per il futuro.

I giornali di oggi risentono tanto di questo dibattito, anche interno: divisi fra quelli che sottolineano la durissima resa dei conti nei 5 stelle (come Repubblica e Fatto) e quelli che sottolineano i mal di pancia nel centrodestra (come Libero e Giornale). Nel Movimento fondato da Beppe Grillo lo scontro è fra Giuseppe Conte, accusato di aver cercato un asse giallo-verde-nero, e Luigi Di Maio, “draghista” ora accusato di lesa maestà nei confronti dell’avvocato pugliese, come racconta Matteo Pucciarelli su Repubblica. Anche Alessandro Di Battista viene interpellato dal Fattop per dare sostegno all’ex premier.

Sull’altro versante dello schieramento, Matteo Salvini (molto criticata la sua gestione da “citofonatore”) scrive un articolo per il Giornale in cui traccia il programma di una coalizione di centro destra di governo. Il modello è quello del «partito repubblicano» nordamericano, nel quale federare liberali, garantisti e cattolici. Giorgia Meloni è invece tentata di andare per conto suo (lo scrive Antonio Rapisarda su Libero), il che apre una prospettiva del tutto diversa anche sulla legge elettorale. A questo punto il proporzionale non sarebbe più un tabù. Sublime Antonio Tajani che al Giornale dichiara: «Se Berlusconi fosse andato al voto avrebbe vinto«. In mezzo ci sono i ragionamenti dei vari Toti e Renzi. Antonio Polito si chiede sul Corriere della Sera se non stia tornando il momento del grande centro.

I DEMOCRISTIANI SONO COME I SESSANTOTTINI

Diciamoci la verità: gli ex democristiani sono un po’ come gli ex sessantottini. Sempre fra le palle. Ogni tanto qualche politologo o ecclesiastico ci ricorda che la Dc è finita, poi però c’è sempre chi si mette a fare il conto con quanti ex dc sono ancora protagonisti della politica italiana.

La riconferma dell’ex democristiano Sergio Mattarella ha provocato nuovi elenchi. Ecco in fila qualche nome: Enrico Letta, Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Guerini, Dario Franceschini, Matteo Renzi, Bruno Tabacci e questi sono solo quelli più in vista. Marco Follini ha scritto ieri sulla Stampa che la coincidenza significa poco e che la Dc è morta e sepolta.

Guido Bodrato intervistato oggi dal Fatto rivendica invece quella tradizione con orgoglio: una tradizione fatta di sacrificio e di senso dello Stato. Sergio Belardinelli sul Foglio di ieri (titolo: “Il Mattarella bis è un’altra sfida per il cattolicesimo democratico”) sosteneva che il presidente rieletto “è la testimonianza vivente di una cultura politica”. Le altre culture politiche dove sono?

COMMIATO DAI LETTORI DI MONTE CAVALLO

Ci vorrebbe quella musichetta di addio che usava la Gialappa’s band quando i calciatori bidoni lasciavano il nostro campionato… Immaginatevela come sottofondo musicale di questi miei saluti. Oggi cala il sipario su questa rubrica, iniziata esattamente il primo dicembre e dedicata all’elezione del capo dello Stato: il titolo Monte Cavallo, per chi ancora se lo chiedesse, viene dal vecchio nome medievale del Colle più alto.

Grazie al direttore Feltri e a tutti i colleghi di Domani, grazie a tutti coloro che mi hanno seguito e si sono fatti vivi nelle forme più diverse. È stato un onore sfogliare i giornali con voi ogni mattina in questi due mesi, alla ricerca dell’angolo giusto per capire che cosa stava accadendo. Ci si vede in giro. Buon settennato.

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