Alla fine la montagna partorisce il topolino, almeno per ora. A chi ha visto Silvio Berlusconi ieri mattina ad Arcore, dove viene convocato lo stato maggiore di Forza Italia, l’anziano leader è apparso «risentito» e «di malumore» per i voti che non sono arrivati e anche per l’atteggiamento degli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni. L’ex cavaliere non sarà in campo.

L’annuncio ufficiale arriverà al vertice di oggi a Roma con tutto il centrodestra. Ma l’indicazione per Mario Draghi non arriva. Draghi non convince Berlusconi, e neanche Salvini. Alle prime chiame il centrodestra potrebbe convergeresulla presidente del senato Maria Elisabetta Casellati.

Poche cordialità sul nome di Pierferdinando Casini, caldeggiato da Matteo Renzi ma considerato «un traditore» a destra; lo stesso su Gianni Letta, sgradito alla componente filosalviniana degli azzurri. Ma Casellati non è una candidatura seria: il Pd fa sapere da giorni che non la voterebbe. E per lo stesso Draghi sarebbe un presidente di garanzia?

L’incontro Letta-Renzi
Ieri anche dall’altra parte, il lato del centrosinistra, si consuma un evento. Alle otto e mezza di mattina Enrico Letta varca la soglia di palazzo Giustiniani, dietro il Senato. Al primo piano c’è l’ufficio di Matteo Renzi e le stanze di Italia viva. Vicino a quella di Casini. Il leader Pd infila la prima porta. Il confronto dura 45 minuti. Il Pd prova a mantenere il riserbo, Renzi no, e alla fine dalle due versioni si può ricostruire il dialogo.

Dal Nazareno spiegano che «il clima è stato positivo». E già non è poco: dai tempi della defenestrazione da palazzo Chigi, i due ex premier si sono visti ufficialmente solo un’altra volta, quando il direttore di Sciences Po, appena eletto segretario Pd, aveva fatto un giro di incontri con tutti i leader delle forze politiche. Poi Nel caso di Renzi era stato giusto un gesto di cortesia. Il «clima» si era un po’ sciolto dopo pochi mesi, alla vigilia della candidatura alle suppletive di Siena: Letta e Renzi si erano incontrati, stavolta lontano dai cronisti.

Stavolta il fondatore di Italia viva cambia verso, e anche atteggiamento. Al Nazareno viene raccontato che «c’è un terreno di sintonia piena sul patto di legislatura, sul presidente della Repubblica e sul governo, e anche sulle riforme». Insomma, i due sono d’accordo sui fondamentali. «Il presidente sarà super partes, quindi o sarà Mario Draghi o nomi di grande levatura». Si sa che in testa alla lista dei «profili di alto livello» per Letta c’è Giuliano Amato.

Letta dice a Renzi che per il Pd «i candidati di destra non sono votabili». E qui le posizioni divergono. Per il segretario Pd fa un riferimento esplicito ai calcoli che il sociologo Roberto D’Alimonte ha pubblicato sul Sole 24 ore. «In un parlamento così frantumato il centrodestra non ha i numeri, dunque non ha alcun diritto di prelazione».

Neanche sommando i voti di Italia viva: la quota fisiologica di franchi tiratori si incaricherebbe di non concedere alcuna maggioranza. Renzi invece poco dopo, a La7, dirà il contrario: «Se il centrodestra fa un nome che va nell’interesse del paese, il Pd lo voterebbe. Se siamo responsabili, il presidente bisogna eleggerlo tutti insieme».

Renzi, che non può più fare il king maker, e non ha più la forza di dare cattivi esempi, impartisce buoni consigli sul metodo condiviso: «Da una alto c’è l’ipotesi di un presidente eletto a gomitate. Ma chi ci prova è morto, è la sindrome Bersani. Dall’altro lato si cerca tutti un accordo, partendo dal presupposto che il centrodestra ha qualche delegato in più».

Ma anche lui deve lasciar capire che i nomi che Matteo Salvini sta pronunciando in questi giorni non solo quelli di un presidente super partes. Neanche quando si tratta di nomi di donna, come Letizia Moratti o Elisabetta Casellati: «C’è bisogno di donne, ma i nomi devono avere il consenso in parlamento», dice Renzi. È un no sostanziale. Anche perché, avverte il leader di Iv, «il centrodestra sa che se porta un nome e non va bene, non c’è il centrodestra. Se non va il nome, allora lo fanno gli altri, oppure arriviamo alla quinta votazione su Draghi».
Ma è soprattutto su Draghi che le versioni sul contenuto dell’incontro fra i due divergono. La versione renziana è che «Letta non sta lavorando per Draghi». Il Nazareno su questo non fa filtrare neanche un fiato. Ma è noto che Letta sia stato il primo, a lungo l’unico leader di partito a non stoppare l’ipotesi Draghi. Se la scelta alla fine cadesse sul premier, per Letta sarebbe senza dubbio una vittoria. E proprio quel «Letta non sta lavorando per Draghi» fornisce la sensazione che la direzione è proprio quella.
Il bis di Mattarella sembra essere sempre più improbabile. Per molte volte (quindici ne vengono contate) il presidente della Repubblica ha dato per assodato il suo addio. E ieri in giro per la Capitale il Pd del Lazio ha affisso manifesti con il volto di Mattarella, «Grazie Presidente». La foto, approdata subito sui social, viene ritwittata da Letta. Sembra un omaggio al presidente uscente, proprio perché uscente.
Letta e Renzi si rivedono domani mattina. Il segretario Pd ha rimandato a domani anche l’incontro con i leader giallorossi Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Difficile, se non escluso, che i quattro si vedano tutti insieme, anche a distanza, in una call in rete. Poi alle 17 e 15 il Pd riunisce i suoi grandi elettori per decidere il comportamento in aula alle prime chiame.

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