- La tensione tra i due leader, attenti più a depotenziarsi a vicenda in una logica interna più che a trovare il miglior candidato, può produrre un nome di compromesso che poi non permette di vincere. Così come è successo a Roma, con Enrico Michetti e a Milano con Luca Bernardo qualche mese fa.
- Il Quirinale si sta rivelando sempre più un test sulla tenuta anche dei nervi della coalizione di centrodestra. Nessuno mette apertamente in discussione la sua solidità, ma soprattutto da FdI c’è la volontà di tenere Salvini sotto pressione.
- Con il rischio che, forzando la mano sul Quirinale per dare prova di leadership, il centrodestra finisca con il sostenere un candidato non all’altezza. Col risultato di non farlo eleggere e restituire l’iniziativa al centrosinistra o aprire la strada a Mario Draghi: la prima scelta di Meloni in tempi non sospetti.
È stata un’altra lunga giornata nel centrodestra: iniziata con una riunione alle 8.30 del mattino e conclusa con un’altra in serata, nel mezzo sono ritornati e poi esclusi di nuovo i nomi di Franco Frattini e Antonio Tajani. Nella confusione generale di notizie che si rincorrono e vengono smentite, l’esito è quello di aver consolidato solo una certezza:in quinta votazione per eleggere il presidente della Repubblica si scriverà un nome unitario sulla scheda, anche senza la certezza di eleggerlo.



