L’eccezione sta diventando prassi: dopo sei giorni di stallo, all’ottava votazione Sergio Mattarella è stato rieletto presidente della Repubblica. Anche lui di sabato, come già è stato per il suo predecessore e fino ad ora unico presidente rieletto, Giorgio Napolitano.

La conferma di Mattarella è stata il frutto di una politica bloccata e un parlamento timoroso che ogni cambiamento potesse determinare la fine della legislatura. Anche contro la volontà del diretto interessato, che in molte occasioni – l’ultima davanti al plenum del Csm, il 20 gennaio – aveva espresso la volontà di concludere il suo mandato. Invece, l’impasse politica ha piegato anche la volontà di Mattarella, che aveva più volte espresso la sua lettura costituzionale contraria al secondo mandato.

La Costituzione

In realtà, nel silenzio della Carta tutto è consentito: così è per la rielezione su cui – a differenza delle dimissioni, esplicitamente previste – il testo non fa accenni. In quello spazio bianco lasciato dai costituenti si è inserita la politica, o meglio la sua assenza.

Come ha scritto un illustre quirinabile come Giuliano Amato, appena eletto presidente della Corte costituzionale, il capo dello Stato è una “fisarmonica”: i suoi poteri si allargano quando i partiti sono deboli e si ripiegano quando sono forti.

Ora, nel periodo di massima debolezza del sistema partitico, la fisarmonica si è di nuovo allargata al punto da sfruttare anche quello spazio di non detto nella Costituzione. Eppure, entrambi i presidenti rieletti erano riluttanti ad assumere di nuovo la carica. Mattarella anche più di Napolitano, perchè aveva ben chiaro che il primo bis è un’eccezione, il secondo consecutivo consolida una prassi.

Non a caso, nei suoi numerosi e ripetuti no, Mattarella aveva citato le tesi dei suoi predecessori Antonio Segni e Giovanni Leone, entrambi giuristi e membri dell’assemblea costituente che scrisse la Costituzione. In occasione dei 130 anni dalla nascita di Segni, nel febbraio scorso, Mattarella ha ricordato proprio la sua «convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica» perchè Segni «definiva il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell'azione dello Stato».

Proprio alla luce della auspicata non rielegibilità, sia Segni che Leone – anche lui citato da Mattarella nel ventennale dalla morte - ritenevano fosse necessario eliminare anche il semestre bianco. «La proposta di modificazione vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione», dunque «una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione che toglie al Presidente il potere di sciogliere il parlamento negli ultimi mesi del suo mandato», sosteneva Segni nel discorso citato da Mattarella.

Per i costituenti reduci dal ventennio fascista, infatti, il rischio da prevenire era un ritorno alla dittatura e la sospensione della democrazia parlamentare: per questo avevano previsto che il presidente della Repubblica non potesse sciogliere le camere negli ultimi sei mesi del mandato.

In questo modo, infatti, si impediva che il presidente con atto unilaterale potesse prolungare il suo mandato, liquidando l’assemblea chiamata a eleggerne il successore.

La politica

Le citazioni a Segni e Leone, però, presuppongono appunto una doppia riforma costituzionale: il divieto esplicito della rielezione e l’abolizione del semestre bianco. Le loro riflessioni, però, si riferivano al contesto della prima repubblica, quando il sistema politico era partitocentrico. Dal 1992 a oggi, invece, l’elemento stabilizzante è diventato la carica monocratica sul Colle e – a Costituzione invariata – tende a prevalere la necessità contingente rispetto al timore di consolidare la prassi del bis per il futuro.

Proprio Mattarella, da politico del partito popolare, aveva esplicitato come la volontà politica potesse produrre quella che allora era ancora un’ipotesi di scuola.

Dagli archivi del Corriere della Sera, infatti, è emersa un’intervista del 1998, in cui l’allora capogruppo del Ppi Mattarella ipotizzava il bis del presidente Oscar Luigi Scalfaro. Mattarella spiegava che il bis era possibile «Se l’accordo giungesse nel quadro di una rinnovata intesa sulle riforme e se l’intesa ripartisse dall’elezione diretta del presidente della Repubblica». Serviva, però, un «buon clima politico», che i due poli dell’epoca - il Polo delle libertà e l’Ulivo – avrebbero dovuto avere «interesse generale a creare».

In realtà, nessuna delle condizioni poste da Mattarella nell’intervista si verificò, in quell’agosto. L’accordo tra i due poli ci fu, ma al Quirinale nel 1999 venne eletto alla prima chiama Carlo Azeglio Ciampi. Non ci fu nemmeno una riforma costituzionale per modificare il metodo di elezione del presidente della Repubblica, che oggi – 22 anni dopo – chiede Giorgia Meloni dalle file dell’opposizione.

Come è stato anche per Napolitano, tuttavia, Mattarella inizia un nuovo mandato all’insegna di qualcosa che lui stesso da presidente ha chiarito di ritenere una forzatura costituzionale.

Chissà se, per mettervi fine, avrà successo politico il testo di riforma costituzionale che abolisce il secondo mandato e il semestre bianco, depositato dai senatori dem Luigi Zanda, Gianclaudio Bressa e Dario Parrini. Per ora la politica in crisi preferisce approfittare della scorciatoia.

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