L’elezione del nuovo presidente della Repubblica è vicina o ancora troppo lontana, a seconda dell’interlocutore. Tutti per prima cosa parlano delle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre che rischiano di essere una sconfitta per un centrodestra che tutti i sondaggi collocano sopra il 40 per cento alle prossime politiche. Quando le elezioni politiche saranno, però, è una delle variabili determinanti anche per valutare il miglior candidato da sostenere al Colle. Anzi, proprio la scelta del successore di Sergio Mattarella potrebbe causare la fine della legislatura e il ritorno alle urne.

A mantenere il tutto sospeso c’è un fattore esterno: se Mattarella desse il via libera per una sua rielezione, tutti i partiti convergerebbero su di lui. Se così non fosse, si aprono vari scenari.

Per seguire il filo logico dei posizionamenti di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia bisogna prima di tutto fotografare l’emiciclo che si comporrà a febbraio 2022: l’aula della Camera in seduta comune sarà composta da deputati, senatori e dai delegati regionali. Numero complessivo, 1009 membri: 630 deputati, 321 senatori (inclusi i senatori a vita) e 58 delegati regionali. Sarà l’ultima assemblea della storia repubblicana a essere così numerosa: dopo il taglio del numero dei parlamentari, infatti, si ridurrà a 658.

Attualmente Forza Italia conta 127 parlamentari, Fratelli d’Italia 58 e la Lega 197. A questi vanno sommati i 31 del gruppo Coraggio Italia di Giovanni Toti e gli almeno 35 delegati regionali di area centrodestra, che per la prima volta saranno in maggioranza rispetto a quelli del centrosinistra. Il risultato è che il centrodestra unito può contare su 448 voti sicuri, non troppo sotto la maggioranza di 505 necessari per eleggere il proprio candidato al quarto scrutinio, nel caso in cui nelle prime tre votazioni non si raggiungesse la maggioranza qualificata dei due terzi.

Forza Italia

Proprio alla quarta votazione sta guardando Silvio Berlusconi. Fiaccato dagli strascichi del Covid e inseguito dai magistrati di Milano per il processo Ruby ter, il leader di Forza Italia non demorde. Considera il Colle una sorta di risarcimento morale per gli anni passati, dallo scontro coi magistrati all’onta della decadenza da senatore per colpa della legge Serverino. E, nello scenario attuale, è convinto di avere qualche chance. È l’àncora del centrodestra italiano con l’Europa e sta lucidando la sua immagine nel Partito popolare europeo perché a un capo dello stato negli anni del Recovery fund serve un forte standing a Bruxelles. Inoltre si è fatto forte di quelle che ha letto come mani tese: le parole dell’ex avversario Romano Prodi che ha definito la perizia psichiatrica chiesta dalle toghe di Milano «una follia italiana» e quelle del segretario del Pd Enrico Letta, che gli ha dato atto di essere l’unico federatore possibile del centrodestra. Sa che, se ci sarà, il bis di Mattarella si concretizzerà nelle prime tre votazioni ed è scettico sul fatto che i parlamentari possano votare per Mario Draghi provocando il probabile voto anticipato. Per questo ha iniziato a fare telefonate e a tenere i conti. I 448 voti del centrodestra ci sono, i 50-60 voti mancanti (lo scrutinio è segreto, quindi serve sempre un margine) è convinto di poterli trovare da solo, pescando nei nutriti gruppi misti della Camera e del Senato oppure dialogando con Matteo Renzi, che potrebbe portargli in dote i 43 voti di Italia viva.

In realtà, dentro Forza Italia c’è scetticismo sull’operazione: i parlamentari sanno che l’aria non è cambiata al punto tale da poter immaginare Berlusconi come arbitro della repubblica. Hanno sì apprezzato l’apertura di Matteo Salvini, che ha indicato l’ex premier come un “quirinabile”, ma la sensazione è che il massimo possibile sia di averlo come candidato di bandiera nelle prime tre votazioni. Per Lega e Fratelli d’Italia sarebbe un riconoscimento alla carriera del Cavaliere, ma anche un modo per bruciarlo per le votazioni successive.

Più verosimilmente «lo scenario probabile è quello del Mattarella bis», dice una senatrice azzurra. Se così non fosse, gli altri nomi che circolano sono quello dell’ex compagno di strada nei governi Berlusconi, Pier Ferdinando Casini, oggi eletto in parlamento con il Pd e quello dell’attuale presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Quest’ultima non ha mai nascosto la sua aspirazione ed esisterebbe una interlocuzione aperta in particolare con Luigi Di Maio, per cercare sponda nei Cinque stelle. Lo scenario, però, è pieno di incognite e salti politici difficili da immaginare. Altro nome che è stato pronunciato anche sul fronte opposto del Pd è quello del consigliere giuridico per antonomasia, Gianni Letta. Delle caratteristiche di possibile presidente ne ha anzitutto una: quella di non essere un nome usurato dal dibattito politico e abile a rimanere dietro le quinte ad aspettare il momento giusto.

Fratelli d’Italia

A stroncare i sogni di Berlusconi è intervenuta anche Giorgia Meloni, dandogli «quotazioni non altissime». La leader di Fratelli d’Italia, sempre più lanciata nei sondaggi e con un partito sottorappresentato in parlamento rispetto alle proiezioni di voto, ha come unico obiettivo andare presto alle urne. Per ottenerlo sarebbe disposta anche a sostenere Mario Draghi al Colle con l’assicurazione di un voto anticipato, ma tutto dipende dall’attuale presidente del Consiglio.

In alternativa, serve un nome terzo. Ben conscia di essere percepita come ormai distante dal centrodestra del voto del 2018 e consapevole anche dei tentativi di federazione tra Lega e Forza Italia, Meloni si sta muovendo autonomamente. La sponda del parlamento con cui ha iniziato a parlare è quella del Pd: lo stesso Letta ha detto che il nuovo capo dello Stato deve essere scelto «con l’accordo di maggioranza e opposizione». Ovvio, ma non scontato nell’attuale situazione in cui l’unica opposizione è quella di FdI. I due si sono incontrati in forza delle rispettive antipatie politiche, visto che è in corso un abboccamento tra Italia Viva e la Lega. Il tentativo è quello di individuare un nome comune per la quarta votazione, nel caso in cui sia Mattarella che Draghi si sfilassero e il compromesso possibile potrebbe essere davvero quello di Gianni Letta (che del leader Pd è lo zio).

Lega

La Lega, intanto, riflette su come muoversi. Matteo Salvini non si sta appassionando alla partita quirinalizia: troppo preso a gestire gli equilibri interni con i “governisti” vicini ai governatori delle regioni e al ministro Giancarlo Giorgetti, ma anche a provare ad arginare i successi nei sondaggi di Meloni. Per Salvini, il Quirinale va letto soprattutto nella chiave di durata del governo e per questo la variabile sarà l’esito delle amministrative.

Se il voto di ottobre nelle città – che non si prospetta positivo per il centrodestra – non riscriverà i rapporti di forza tra i partiti e non farà calare le quotazioni della Lega nei sondaggi nazionali, allora Salvini vorrà ragionare di tornare alle urne lavorando per portare Draghi al Quirinale. Contro di lui, però, potrebbero muoversi due forze interne.

Da un lato, i suoi stessi parlamentari, non entusiasti di interrompere la legislatura per tornare a votare con molti meno seggi in palio e la federazione con Forza Italia in corso a ridurne le chances di elezione. Dall’altra i delegati regionali leghisti, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga in testa, che da governatori di regione preferiscono la stabilità politica del governo Draghi fino al 2023 per avere la certezza dei fondi del Recovery.

Se invece i risultati delle amministrative non fossero positivi nel confermare la Lega primo partito del centrodestra, anche Salvini scarterebbe l’ipotesi di un immediato ritorno al voto. In questo caso, allora, dovrebbe iniziare a giocare la partita quirinalizia: se riuscisse ad essere il regista della nomina di presidente di area centrodestra, il suo ruolo di leader si rafforzerebbe in modo significativo.

E allora anche lui guarda i numeri: 448 voti certi, più Italia Viva possibile da coinvolgere su un nome come quello di Casini. Tuttavia, il dato di fondo è uno solo: liberi tutti fino alla quarta votazione, poi il centrodestra per provare a contare deve essere unito.

 

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