In quest’ultima settimana prima dell’inizio delle votazioni per eleggere il nuovo capo dello Stato, continua il totonomi. Il settore che produce più riserve della Repubblica oggi considerate “quirinabili” è quello della giustizia.

Dal giudice costituzionale Giuliano Amato all’ex ministra Paola Severino, alla ministra Marta Cartabia e al presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, passando per l’ex magistrato e presidente della Camera Luciano Violante e l’ex consigliera del Csm e presidente del Senato Elisabetta Casellati.

Un controsenso, se si considera che tutti i partiti definiscono il Quirinale come il luogo dell’imparzialità. Proprio la giustizia, infatti, è l’ambito della cosa pubblica oggi unanimemente considerato più in crisi: di legittimità davanti ai cittadini dopo gli scandali che hanno investito il Consiglio superiore della magistratura, ma anche di trasparenza gestionale nella gestione delle nomine e di incapacità riformare il sistema.

L’ultimo scandalo è recente e riguarda la nomina del primo presidente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio e della presidente aggiunta, Margherita Cassano, entrambe annullate dal Consiglio di Stato per carenza e contraddittorietà della motivazione, aprendo un conflitto tra organi di rilevanza costituzionale. Eppure, l’essere stati o l’essere al vertice delle istituzioni giudiziarie continua ad essere un elemento di merito da spendere.

Cartabia

Nella lista dei possibili candidati alla successione di Sergio Mattarella, la prima è certamente l’attuale ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Candidata ufficiale di Azione di Carlo Calenda ma senza che lei abbia mai nemmeno fatto accenno di consenso, Cartabia è considerata una figura super partes visto passato da prima presidente donna alla Corte costituzionale.

Da guardasigilli, tuttavia, non è riuscita nell’impresa pur ardua di riformare proprio la magistratura. La riforma dell’ordinamento giudiziario è ferma al palo da quasi un mese e gli emendamenti del ministero sono pronti ma non vengono depositati, nonostante la promessa di renderli pubblici prima di Natale.

La prudenza di Cartabia, che pure ha il merito di aver approvato le riforme del civile e del penale, è stata letta come un modo per non creare ulteriori tensioni nella compagine della maggioranza, divisa sugli orientamenti della riforma. Ma anche come un escamotage per non creare divisioni sul suo nome, nell’ipotesi in cui possa finire nell’urna dell’assemblea in seduta comune. In ogni caso, ogni giorno di ritardo è responsabilità quantomeno per omissione, visti i mali che affliggono il settore.

Frattini

Franco Frattini (Foto: LaPresse)

Sul versante di centrodestra, il nome di Franco Frattini sta tornando sulla bocca dei molti che non considerano davvero praticabile l’elezione di Silvio Berlusconi. Frattini è appena stato nominato presidente del Consiglio di Stato al posto del neo giudice della Corte costituzionale, Filippo Patroni Griffi.

Una nomina, questa, che viene assegnata per anzianità e dunque era scontata nel meccanismo interno del CdS. Per questo nessuno la considera ostativa per l’ambizione al Quirinale. Anzi la nomina al vertice di un organo di rilevanza costituzionale può anche essere considerata una ulteriore tacca di merito.

Eppure proprio il Consiglio di Stato è oggi al centro di un durissimo scontro istituzionale con il Csm, di cui ha annullato ben tre nomine di peso nell’ultimo anno e mezzo, decapitando prima la procura di Roma e poi la Cassazione. Il conflitto sta alimentando la crisi di credibilità all’interno della magistratura, ma pone anche il massimo giudice amministrativo davanti all’interrogativo di un suo eccesso di potere decisionale ben oltre la sua sfera di legittimità.

In questo contesto, Frattini è un presidente che rappresenta il rapporto complicato tra magistratura (anche amministrativa) e politica: entrato per concorso al CdS a 28 anni, ne ha tuttavia spesi circa venti fuori ruolo per mandato politico: come parlamentare di Forza Italia, poi come ministro e poi come commissario europeo. Però, secondo le regole del CdS, l’anzianità si calcola dall’anno di ingresso a palazzo Spada e non si interrompe con la collocazione fuori ruolo.

Casellati

LaPresse

Altro nome papabile rimane quello della presidente del Senato in quota Forza Italia, Elisabetta Casellati, che è stata anche sottosegretaria alla Giustizia del governo Berlusconi e membro laico del Csm.

Proprio questo incarico, che ha ricoperto dal 2014 al 2018 nel pieno periodo del cosiddetto “sistema Palamara” di gestione delle nomine, ha fatto finire il suo nome nell’inchiesta a carico dell’ex magistrato Luca Palamara. Anche lei, infatti, è finita nelle chat poi rese pubbliche in cui si discuteva di nomine ai vertici degli uffici giudiziari ed è nell’elenco testi presentato da Palamara in vista del processo per corruzione a Perugia.

Intanto, c'è grande attesa per l’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, il prossimo 21 gennaio. Sarà tra gli ultimi eventi pubblici a cui presidente della Repubblica Sergio Mattarella parteciperà ed è segnato dalla probabile assenza proprio del primo presidente Curzio, la cui nomina nel 2020 era avvenuta davanti a Mattarella al Csm in qualità di presidente dell’organo di governo autonomo della magistratura. L’ennesimo segno tangibile della crisi della giustizia, a tre giorni dall’apertura dell’urna quirinaliza a Montecitorio.

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