«Pochi minuti di ritardo». La motivazione (per lo meno quella apparente) della nomina saltata di Silvia Calandrelli alla presidenza di Rai Pubblicità si può riassumere nella striminzita frase che il consigliere di amministrazione Antonio Marano ha portato per argomentare a favore del rinvio alla prossima riunione del dossier di nomina dell’ex direttrice di Rai Cultura.

Marano, di area leghista, è presidente pro tempore, membro anziano del cda di viale Mazzini.

I documenti sarebbero stati consegnati oltre il termine massimo, insomma. Una svista con ricadute tragiche, e c’è già chi si chiede come la squadra dei dirigenti neri possa aver sottovalutato così l’attenzione acribica di Marano sulle questioni burocratiche: «Andava consegnato tutto a regola d’arte». Niente da fare dunque per i piani dell’amministratore delegato di fede meloniana Giampaolo Rossi, che aveva proposto Calandrelli per sostituire Maurizio Fattaccio, prossimo alla pensione.

È l’ennesimo tiro mancino di Marano – ex direttore di Rai2 considerato in azienda uno dei massimi esperti di procedure – all’ad, che deve riaprire una trattativa che negli ultimi giorni tutti gli interessati davano per chiusa. I dissapori tra presidente e amministratore delegato sono una specialità di casa Rai, ma da un’iniziale assenza di feeling il rapporto Marano-Rossi sta progressivamente degenerando: solo qualche mese fa, Marano si era infatti astenuto nel voto sul budget aziendale.

Stavolta, a colpire gli osservatori era stata certo la coloritura politica del nome di Calandrelli, non esattamente un’espressione del mondo di Fratelli d’Italia ma generalmente collocata dai più in area dem. Ciononostante Rossi l’aveva segnalata per la presidenza di Rai Pubblicità, dopo che era stata a sua volta sostituita a Rai Cultura da Fabrizio Zappi, considerato gradito al Carroccio: una nomina trasversale, insomma, tanto che alla vigilia perfino i consiglieri d’opposizione Roberto Natale, Alessandro di Majo e quello in quota dipendente Davide Di Pietro apparivano disposti a sostenere il nome. A differenza dell’ultimo giro di nomine, filtra, questa volta il metodo della decisione sarebbe infatti stato condiviso.

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E invece, nulla di fatto: i leghisti – che pure hanno potuto beneficiare di una tornata di nomine più che generosa, considerato che si tratta del terzo partito della coalizione – non hanno voluto mollare la poltrona della presidenza della concessionaria. «Il problema, però, è anche di chi gli concede tutto quello spazio» confida un dirigente a taccuino chiuso.

La poltrona più importante di Rai Pubblicità inizialmente era destinata a Francesco Pionati, il direttore uscente del Gr che sta lasciando il posto a Nicola Rao, ma il pensionamento imminente era incompatibile con la nomina. A quel punto, i leghisti si erano orientati su Gianfranco Zinzilli, vicedirettore vicario della direzione offerta estero.

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Ma Rossi non avrebbe voluto sentire ragioni, nonostante dare l’incarico a Calandrelli sarebbe significato sottrarre un prezioso posto dirigenziale alla propria maggioranza, aspetto difficile da motivare anche di fronte a FdI.

A quanto filtra da Via Asiago, dove il settimo piano è in trasferta in attesa della fine dei lavori a viale Mazzini, l’insistenza del “Bussola” avrebbe fatto sollevare un sopracciglio anche al ministero dell’Economia, principale azionista dell’azienda e presidiato da un altro leghista, Giancarlo Giorgetti.

Di qui, la decisione di Marano di ricorrere a un espediente con diversi precedenti nella storia dell’azienda, quello di rinviare una trattativa senza esito soddisfacente ad altra data ammantando la manovra con un’elegante motivazione tecnica.

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