La tensione nel governo è palpabile e aumenta a ogni consiglio dei ministri, alimentata sia da questioni croniche come il rifinanziamento del reddito di cittadinanza che da problemi contingenti come i casi Lamorgese e Garavaglia.

La linea del presidente del Consiglio, Mario Draghi, è sempre la stessa: lasciar decantare i problemi, affrontarli a tempo debito ma in modo determinato e senza mai modificare la propria linea. Lo ha fatto con l’entrata in vigore del green pass obbligatorio, su cui non ha ceduto nonostante le sollecitazioni della Lega e i tumulti di piazza. Sarà probabilmente così anche sul reddito di cittadinanza, che già ieri è stato il punto più contestato del fitto ordine del giorno del consiglio dei ministri. E lo stesso vale per i problemi che riguardano la permanenza nell’esecutivo di singoli ministri.

Sul reddito di cittadinanza gli schieramenti sono ormai noti: da un lato Lega e Forza Italia, a cui si è unita anche Italia viva, che hanno contestato duramente il rifinanziamento della misura; dall’altro il Movimento 5 stelle, arroccato in difesa del suo provvedimento di bandiera, affiancato dal Partito democratico.

Al centro Draghi, che non si è scomposto e ha mantenuto ferma la sua proposta di mediazione: il reddito è stato rifinanziato con circa 200 milioni di euro, ma solo fino alla fine dell’anno. Quindi si procederà con una ristrutturazione dello strumento, con probabili modifiche sia alla platea dei richiedenti sia alla modalità di rifinanziamento, ma il tema verrà affrontato durante la discussione sulla legge di Bilancio. In quella sede, infatti, si affronterà anche la riforma delle politiche attive e il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, è pronto ad assistere Draghi passo dopo passo. Per questo ha già istituito una commissione tecnica con il compito di elaborare un pacchetto di proposte per migliorare la misura.

Andea Orlando (lapresse)

Il nodo Garavaglia

Nel consiglio dei ministri, però, i toni si sono alzati molto. Protagonisti dello scontro soprattutto il leghista Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e il grillino Stefano Patuanelli (Agricoltura). L’argomento era il reddito di cittadinanza, ma esiste un altro argomento che preoccupa Draghi e tocca indirettamente Giorgetti. Un tema su cui il Movimento 5 stelle potrebbe far leva per mettere in difficoltà la Lega.

Fabio Frustaci/LaPresse/POOL Ansa

Nei giorni scorsi la procura generale di Milano ha chiesto per Massimo Garavaglia, ministro leghista del Turismo, la condanna a un anno e sei mesi per turbativa d’asta in relazione a fatti avvenuti nel 2014, quando era assessore in regione Lombardia. In primo grado è stato assolto per non aver commesso il fatto, ma l’accusa ha proposto appello e ora su di lui pende il giudizio della corte che si dovrebbe pronunciare già l’11 novembre. Anche in caso di condanna la pena sarebbe lieve e il reato contestato non provocherebbe la decadenza secondo la legge Severino. Tuttavia è facile immaginare la reazione del Movimento 5 stelle davanti a un ministro condannato.

Per ora nessuno si espone sul tema, ma palazzo Chigi segue con attenzione l’iter giudiziario. Sul fronte del Pd la valutazione rimane sospesa: Garavaglia, nonostante sia un leghista, è considerato un ministro serio e a nessuno sfugge il suo legame con Giorgetti, che rappresenta l’ala governista del partito, critica nei confronti di Matteo Salvini.

Non c’è interesse ad attaccarlo, anche in considerazione dell’assoluzione in primo grado e della richiesta, tutto sommato contenuta, dell’accusa. Tuttavia, in caso di condanna, «potrebbe sorgere una questione di opportunità», dice un deputato Pd vicino alla segreteria. Una questione di opportunità, però, che verrà lasciata interamente nelle mani di Draghi, chiamato a valutare i pro e i contro di non far dimettere un ministro condannato.

Nel centrodestra, invece, tutti considerano il processo qualcosa di secondario e poco significativo e, soprattutto dentro Forza Italia, nessuno ha interesse a pungolare la Lega. Tuttavia l’affare Garavaglia si lega strettamente con il caso Lamorgese.

La ministra dell’Interno è stata duramente attaccata da Salvini, che è arrivato a minacciare mozioni di sfiducia. Finora nessuno dentro la maggioranza gli ha creduto. L’attenzione, però, è focalizzata sulle manifestazioni dei prossimi giorni, a cominciare da quella convocata oggi a Roma dai sindacati: se tutto filerà liscio, anche gli attacchi a Lamorgese si placheranno, altrimenti la questione potrebbe essere rilanciata anche da altri partiti della maggioranza. Anche perché, dopo l’attacco neofascista alla sede della Cgil di sabato scorso e le evidenti difficoltà di gestione dell’ordine pubblico, persino il segretario del Pd, Enrico Letta, ha criticato l’operato del ministero dell’Interno. Ma se Salvini intende portare avanti la sua battaglia contro Lamorgese, deve essere pronto a ricevere lo stesso trattamento nel caso di una condanna per Garavaglia.

Intanto Draghi osserva. Il premier ha ribadito in tutte le sedi che il piano delle riforme deve andare avanti, sottintendendo che le schermaglie politiche devono rimanere lontane (e possibilmente non causare danni) dal lavoro del governo. Sa anche che, in un momento di tensione sociale come questo e in attesa che l’obbligo di green pass venga metabolizzato, qualsiasi cambiamento di assetto nel governo sarebbe un errore. Di più, verrebbe letto come un segno di cedimento che ora come ora l’esecutivo non vuole né può permettersi. Dunque bisogna prevenire ogni rischio di scossone: occhi puntati sulle piazze romane dei prossimi giorni e sulla corte d’appello di Milano, quindi. In modo da essere preparati a gestire ogni conseguenza politica.

 

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