L’invito al non voto, pur legittimo, svilisce la sovranità popolare, che si esprime anche attraverso uno strumento che rende protagonisti i cittadini, qual è il referendum abrogativo. Chi fa propaganda per l’astensione, inoltre, evita di entrare nel merito dei quesiti. Ma il popolo può ritenersi costituzionalmente “sovrano” in quanto pienamente informato.
Come può essere giudicata l’astensione in occasione di un referendum abrogativo, per la cui validità è necessario il raggiungimento del quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto?
È legittimo non votare, come lo è anche il mero invito a non recarsi alle urne, e in questi anni lo hanno fatto politici di diversi partiti. È inopportuna, se pur lecita, la propaganda per l’astensione se proviene da un esponente delle istituzioni, che così dimostra di non tenere in nessun conto il «dovere civico» del voto, e dunque l’articolo 48 della Costituzione.
Non per questo, tuttavia, la democrazia ne risulta compromessa: se il cittadino decide di non votare a seguito di meri inviti, non si può dire che la sua volontà sia stata coartata. Certo, in un paese con un tasso di astensionismo sempre più alto, soggetti istituzionali dovrebbero fare di tutto per incentivare la partecipazione, e non scoraggiarla.
Lo svilimento della democrazia diretta
Ciò premesso, il richiamo all’astensione sembra svilire la sovranità popolare, principio fondamentale ai sensi dell’articolo 1 della Costituzione. In una democrazia rappresentativa il popolo si esprime attraverso gli eletti, ma in determinati casi può farlo senza intermediazioni. Il referendum abrogativo, strumento di democrazia diretta, consente ai cittadini di essere protagonisti e vincola il legislatore al rispetto della loro volontà.
L’invito di alcuni politici a non recarsi alle urne sembra svilire tutto questo, perché chiede al popolo di esprimersi senza esprimersi, di esercitare un potere attraverso l’indifferenza. Una contraddizione rispetto alla ratio dell’istituto.
Inoltre, pur essendo legittima – lo si ribadisce – l’astensione non è contemplata dalle disposizioni in materia di referendum. Pertanto, anche se essa produce lo stesso risultato del voto negativo, giuridicamente non è corretto equipararla a quest’ultimo.
Sovranità popolare poco informata
Chi fa propaganda per l’astensione di solito evita di entrare nel merito dei quesiti referendari, reputando evidentemente superfluo che le persone si formino un’opinione motivata su temi per i quali non voteranno. La conseguenza è che l’astensione stessa diviene espressione di una posizione politica cui si aderisce per fede o tifo, più che per effettiva cognizione delle argomentazioni sottostanti.
Anche per questo motivo l’invito a non votare pare uno svilimento del dettato costituzionale, oltre che delle capacità cognitive dei cittadini. Il popolo può ritenersi costituzionalmente “sovrano” in quanto sia pienamente informato, quindi consapevole.
Pertanto, chiedere ai cittadini di esercitare la sovranità attraverso l’astensione, affinché la loro scelta di non recarsi al seggio renda impossibile il raggiungimento del quorum, appare un espediente poco rispettoso del «conoscere per deliberare» di einaudiana memoria. Espediente che, tra l’altro, finisce per ricomprendere nelle fila del No anche quelli che non vanno alle urne per disinteresse o pigrizia.
Referendum e risorse pubbliche
Qualcuno afferma che il referendum sia solo espressione di una faida interna al Partito democratico – la linea del Pd è il Si anche ai quesiti contro il Jobs act voluto dallo stesso Pd, allora guidato da Matteo Renzi, ma una minoranza del partito si asterrà su quei quesiti – e che, pertanto, esso rappresenterebbe uno spreco di denaro pubblico.
L’argomentazione non regge. Dopo il vaglio dell’Ufficio centrale e della Corte costituzionale, la richiesta di referendum abrogativo – qualunque ne sia il motivo politico – diviene pienamente legittima, quindi meritevole di essere sottoposta al giudizio del popolo, e ad essa vanno destinate le risorse necessarie.
È, comunque, singolare che sia considerato uno spreco quanto serve all’esercizio di un diritto costituzionalmente previsto, e non ad esempio il trasferimento di migranti in Albania, a un costo di circa dieci volte superiore rispetto a quello dei Cpr in Italia. Il doppiopesismo, insomma, non è solo quello di chi in passato invitava all’astensione, e ora la demonizza.
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