L’indicazione della lobby anti-diritti Pro-Vita & Famiglia, di cui Domani ha raccontato affari e relazioni con la destra (soprattutto con Forza nuova), è stata inequivocabile: «Il governo si svegli e mantenga le promesse: sostenere un’azione anti-Lgbt nelle scuole».

E sarà un caso che, proprio nello stesso giorno della presentazione della campagna “Mio figlio no” con cui l’associazione vuole spingere l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni a vietare, per legge, le «scorribande Lgbt che minano la libertà educativa», il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara abbia incontrato l’ex sottosegretario all’Istruzione leghista, Rossano Sasso per discutere «su alcuni temi molto cari alle famiglie e su alcune iniziative normative che a breve presenteremo».

La proposta di legge

Così come sarà un caso che, sei giorni dopo, sia stata depositata alla Camera una proposta di legge dal titolo: “Introduzione del requisito del consenso informato dell'esercente la responsabilità genitoriale per la partecipazione dello studente minorenne ad attività scolastiche vertenti su materie di natura sessuale, affettiva o etica”.

La proposta è firmata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Cultura ma anche fondatore della casa editrice Eclettica che, attraverso il progetto editoriale “Passaggio al bosco”, ha pubblicato proprio il nuovo libro del deputato Sasso: Il gender esiste.

«È essenziale rispettare la libertà educativa delle famiglie evitando imposizioni culturali e indottrinamenti su temi di così grande e profonda sensibilità», ha dichiarato Amorese, sottolineando come la misura intenda anche garantire la «trasparenza dell’offerta formativa» attraverso la possibilità di consultare preventivamente il materiale didattico utilizzato.

Il testo è snello, diviso in tre articoli e anticipato dal quotidiano La Verità, di cui Pro-Vita & Famiglia è uno stakeholder importante: il primo articolo prevede che «la partecipazione dello studente minorenne, delle scuole pubbliche e paritarie di ogni ordine e grado, alle attività comprese nel curricolo obbligatorio o nell’ampliamento della sfera formativa extra curricolare rientranti nella sfera sessuale, affettiva o etica, è subordinata alla manifestazione di consenso informato dell’esercente la potestà genitoriale o tutela legale».

Il secondo articolo indica «modalità di attuazione della manifestazione del consenso attraverso un decreto del ministro dell’Istruzione e del merito», mentre il terzo contiene le disposizioni finanziarie, che non prevedono nuovi o maggiori oneri a carico delle casse pubbliche. Inoltre l’istituto scolastico dovrà mettere a disposizione dei genitori, il materiale didattico utilizzato per «favorire la piena presa di coscienza del tema (…) La consultazione deve essere sempre consentita e riguardare la totalità del materiale didattico in uso, sia esso in formato analogico o digitale».

Perché il consenso?

«Una battaglia di retroguardia che forza tutti i concetti su cui si poggia la scuola pubblica italiana», dice Angela Nava, presidente del Cgd, il Coordinamento genitori democratici, fondato nel 1976 da Marisa Musu e Gianni Rodari. «“Consenso informato” è una terminologia che viene dal campo sanitario, ognuno di noi prima di un intervento chirurgico firma un foglio su cui declina la sua responsabilità e mette in conoscenza possibili pericoli del percorso ma non si può applicare all’educazione. Il punto di equilibrio tra libertà educativa delle famiglie e doveri di scuola pubblica è già dato dalla firma di corresponsabilità educativa nel momento in cui si iscrive il figlio a scuola. Lì viene presenta tutto il piano offerta formativa. Quindi il consenso è dato dall'inizio, si può scegliere se iscrivere i propri figli in quell’istituto o meno».

Allora a cosa dovrebbe servire una legge per qualcosa che già esiste? «Mi sembra un tentativo per bloccare i corsi di educazione affettiva che loro etichettano come “gender”». Eppure il comma 16 della legge 107 del 13 luglio 2015 stabilisce che il piano triennale dell'offerta formativa deve assicurare l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione a «tutte le discriminazioni».

«Ma non solo» specifica Nava «mi chiedo quale sia il confine di questa parolina “etica”. Immaginiamo che un’insegnante spieghi la resistenza. Se un genitore si oppone per questioni etiche? E se chiede che vengano visionati i libri o i materiali didattici che il docente usa per spiegare questo frammento di storia? Che evoluzioni può avere questo cosiddetto consenso informato sulla libertà di insegnamento?».

Nel Partito democratico resta vigile sui lavori della commissione la capogruppo Irene Manzi: «I colleghi dimenticano che ci sono già modalità di confronto tra genitori e docenti, nella scuola. Come il Piano triennale dell’offerta formativa. Mi sembra un timore che anima i colleghi della destra da anni questo dell’educazione ai sentimenti. Qualcosa che lo stesso ministro Valditara ha meritoriamente sottoscritto firmando un protocollo insieme alla Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin.

Un timore che si trasforma in ossessione per il controllo dell’autonomia scolastica. Ci sono numerose circolari del 2015 e del 2018 che fanno riferimento al piano dell’offerta formativa. Per le attività extracurriculare ci sono già previste forme di consenso. L’intento è quello di creare un conflitto scuola-genitori. Far visionare il materiale scolastico è un grave atto di sfiducia nei confronti dei docenti. Una visione di scuola che rifiutiamo».

© Riproduzione riservata