Toscana, il campo largo è obbligato a vincere “bene”

Per il centrosinistra gli esami non finiscono mai. La vittoria annunciata in Toscana, nel voto di domenica e lunedì, solo all’apparenza si presenta come una passeggiata di salute. Vincere non basterà, al campo largo. «Bisogna vincere bene», ha spiegato il presidente del Pd, Stefano Bonaccini. Pazienza se per «vincere bene» hanno dovuto marciare divisi. Venerdì 10 la destra ha chiuso la campagna di Alessandro Tomasi a Firenze, con Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi tutti insieme sul palco: un’ostentazione di unità per la coalizione, nonostante i maldipancia e le defezioni leghiste per la prova di forza consentita a Roberto Vannacci in regione. Comunque uno schiaffo agli avversari e alla loro lunga corsa da separati in casa. Il candidato Eugenio Giani ha raggiunto Giuseppe Conte a Scandicci, per un incontro, una plateale stretta di mano e una pubblica promessa di collaborazione longeva. Spauracchio Vannacci a destra. Salvini nervoso (e accerchiato) Il risultato dei Cinque stelle è delicato: il Movimento toscano ha approvato il sostegno a Giani lo scorso agosto, in una consultazione a cui ha partecipato la metà degli aventi diritto. E con la contrarietà di una parte del gruppo dirigente toscano, dopo cinque anni di opposizione dura al presidente – su temi importanti: il nuovo aeroporto di Firenze, il nuovo piano di rifiuti, il no alle basi Nato – e una comunità «dilaniata e lacerata», come l’ha definita lo stesso ex premier. Nel 2020 M5s, correndo in proprio, ha preso il 7 per cento. Nelle Marche e in Calabria ha pagato severamente l’alleanza con il Pd. «Qui dobbiamo assolutamente vincere», ha detto Conte, «Giani resta presidente ma in una prospettiva rinnovata», è la formula che ha usato per tirargli la volata. La percentuale M5s non sarà determinante per vincere, assicurano i dem; a loro volta in apprensione per il proprio risultato. Allo scorso giro Giani ha vinto con 48,6 per cento, con il Pd al 34,6 e Italia viva al 4,5. Stavolta la lista renziana, Casa riformista, che ha chiuso la campagna a Firenze con il candidato presidente, ha il trucco: di fatto è la lista del presidente. Che potrebbe gonfiarne i consensi, erodendoli al Pd. Prima la famiglia e gli amici: ecco la premiata ditta Cirielli Riformisti, serrare le file Il voto toscano si intreccia con i movimenti interni dell’area riformista. La corrente di Bonaccini serra le file in vista della scissione che sarà ufficializzata il 24 ottobre a Milano, con un’iniziativa sulle proposte sulla crescita del paese firmata da Pina Picierno, Giorgio Gori e altri dirigenti di rito gentiloniano. Venerdì mattina il presidente ha convocato in call i suoi. Si sono collegati in una cinquantina. Il messaggio è che Energia popolare resterà fedele alla «gestione unitaria» del Pd, anche se a fine regionali chiederà alla segretaria Elly Schlein una spinta più decisa e intellegibile verso «un’idea plurale del partito», per renderlo «più espansivo» dal lato dei consensi riformisti e centristi. Quanto all’appuntamento di Milano, «rispetto la scelta, ciascuno farà quello che crede», ha detto nelle conclusioni Alessandro Alfieri. «Noi crediamo che sia più efficace restare dentro la battaglia», riferimento alla decisione di questa componente di restare nella segretaria. Rammarico particolare per la scelta di Lorenzo Guerini, presidente del Copasir e pezzo pregiato della nuova corrente riformista. «Sono certo che comunque troveremo le modalità di mantenere un filo comune», dice Alfieri, «visto che su molti temi la pensiamo in maniera simile». La destra trova i candidati in Campania e Puglia. Nel Sud è sfida tra FdI e FI