Il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento del nuovo ministero della Transizione ecologica disegnato da Roberto Cingolani. È un momento importante, simbolicamente e politicamente. Il dicastero doveva essere il biglietto da visita per la credibilità climatica del governo, uno dei fatti nuovi con i quali si inauguravano l’era Draghi e il suo ambientalismo di sistema. Come è andata?

Dipende dai punti di vista. Benissimo per il mondo dell’energia, soprattutto per il vecchio mondo dell’energia che sopravvive a tutte le stagioni, male per la biodiversità, il mare, la tutela degli ecosistemi, e anche per battaglie storiche dell’ambientalismo come quella per la qualità dell’aria. Con tre dipartimenti, di cui uno interamente dedicato all’energia, il nuovo Ministero della transizione ecologica è alla prova dei fatti un Ministero della transizione energetica o, come lo definisce una fonte qualificata, «un Ministero dello sviluppo economico bis.

La cosa strana è che Giorgetti non abbia protestato». Nel frattempo è stata votata anche la riorganizzazione speculare del Mise dopo la perdita dell’energia, con una nuova direzione dedicata alla riconversione industriale e alle grandi filiere produttive.

Lavorare a comparti stagni

Al di là degli equilibri tra i partiti del governo, il problema per l’Italia è che la transizione ecologica rispecchierà la nuova struttura politica e amministrativa creata per portarla avanti. Le nuove regole sono sostanza, indirizzano investimenti, competenze, risorse, rispondono a una visione politica. Nel regolamento approvato ieri la stessa crisi climatica che ha messo in ginocchio l’Europa e l’Italia questa estate e che dovrebbe essere una priorità di sicurezza nazionale sembra essere ridotta a un rumore di fondo. L’adattamento, il complicato, costoso e delicato processo di rendere il nostro territorio resiliente ad alluvioni, frane, incendi e grandine, ha un ruolo marginale nel grande disegno di Cingolani, che ruota tutto intorno agli obiettivi energetici. «L’idea di creare il ministero della Transizione ecologica era accorpare le competenze per consentire un approccio integrato all’ambiente, qualcosa che dall’interno chiedevamo da anni e che abbiamo accolto con entusiasmo.

Il problema è che con Cingolani sta accadendo l’esatto opposto, si lavora a compartimenti stagni, con le competenze ambientali che sono state depotenziate e nebulizzate». spiega una persona che lavora al suo interno da due decenni, ha visto ministri e approcci alternarsi e che ne ha raccontato a Domani il processo di riorganizzazione. «La Commissione ci aveva chiesto il contrario di quello che abbiamo fatto, di lavorare in modo integrato, secondo il principio “Do no harm”, valutare il rischio di danni ambientali per ogni singolo intervento. Questo è stato fatto nella scrittura del Pnrr, perché altrimenti non avremmo avuto l’approvazione e i soldi, ma non si rispecchia in come viene concepito il ministero».

Cosa dovrà fare

Nel modello precedente, quello che Draghi e Cingolani volevano migliorare per affrontare da protagonisti i cambiamenti climatici, il ministero dello Sviluppo economico faceva gli interessi delle aziende (anche energetiche), il ministero dell’Ambiente tutelava quelli della collettività e questa frizione, pur con i suoi limiti, era un contrappeso importante allo sviluppo e ai problemi che portava. Ora la componente energia entra dentro il ministero ed è come se nel frattempo fosse sparito il dicastero dell’ambiente così come lo conoscevamo. Se l’idea di partenza era avere un super ministro dell’ambiente, che potesse davvero incidere sull’energia senza perdere le sue vecchie prerogative e la sua filosofia, quello che ci ritroviamo è un ministero dell’energia senza più il contraltare ambientale e con al centro una serie di idee che sono espresse bene nel Pnrr e nelle dichiarazioni di Cingolani degli ultimi mesi: transizione graduale, gas come energia di passaggio, stoccaggi di CO2 nel sottosuolo.

Il patrimonio naturale e il mare, cioè il core business del vecchio dicastero, sono stati accorpati nello stesso dipartimento che contiene anche risorse umane, acquisti, comunicazione, innovazione e attività europee, è come se fosse stato miniaturizzato. Per sintetizzare con una battuta che circola in queste ore, grazie a Cingolani siamo diventati il primo paese al mondo senza ministero dell’Ambiente.

Il Mite dovrà scrivere il nuovo Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) per adattarlo agli obiettivi europei, condurre le trattative per il Fit for 55 e il green deal (che Cingolani ha già impostato pubblicamente come una trincea per il motore termico) e affrontare le procedure di infrazione europee sulla qualità dell’aria, senza però avere più una direzione sulla qualità dell’aria.

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