Matteo Renzi va alla guerra e i suoi avversari sono i magistrati. Per combatterli, ha deciso di utilizzare l’arma che ha mandato in cortocircuito il rapporto tra politica e giustizia: i media.

I nemici di Renzi sono i pm che lo hanno chiamato e lo ascolteranno oggi in procura a Firenze, nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione Open. Ma anche quelli che hanno indagato l’azienda farmaceutica Menarini (i cui vertici sono stati assolti dalla Cassazione dall’accusa di riciclaggio dopo dieci anni di processo), quelli che hanno accusato il leghista Roberto Maroni (assolto in Cassazione dall’accusa di concorso in turbata libertà degli incanti) e Antonio Bassolino (che la scorsa settimana ha ottenuto la diciannovesima assoluzione nell’ambito della gestione commissariale dei rifiuti a Napoli): tre esempi di processi mediatici finiti nel nulla che compaiono nella ultima eNews del leader di Italia viva.

Dunque, per combattere il giustizialismo e la mediatizzazione dei processi, Renzi ha scelto esattamente lo stesso terreno: quello mediatico, con in più un pizzico di personalizzazione.

Il 21 novembre, infatti, Renzi ha registrato il dominio guerraarenzi.it, sul quale «nei prossimi mesi, seguiremo i processi, le indagini, le accuse e daremo conto in modo trasparente della situazione», spiega in termini vaghi. Si può immaginare però che la “guerra” contro di lui sia proprio l’indagine sulla fondazione Open, nella quale Renzi è indagato con l’ipotesi di finanziamento illecito ai partiti.

Il sito, per ora, è vuoto: nella homepage campeggia solo il video di Renzi in Senato, nel dicembre scorso, quando è intervenuto proprio sul caso Open e ha detto che in questo modo «la magistratura decide cosa è partito e cosa non lo è». Nel corso delle prossime settimane, però, quando l’inchiesta tornerà al centro del dibattito anche politico, con tutta probabilità questo sarà il palco mediatico dal quale Renzi ha scelto di difendersi.

Una difesa fuori dal processo

L’ex premier si difenderà «nel processo», come ha ripetuto anche domenica a Mezz’ora in più: esercitando il suo diritto di difesa, oggi sarà in parlamento e non in procura a Firenze dove sarebbe convocato, perché i suoi legali hanno sollevato eccezione di incompetenza territoriale nei confronti dei magistrati fiorentini.

Si difenderà, però, anche “fuori” dal processo: in un luogo come il web dove evidentemente ritiene di poter controbilanciare l’assalto mediatico-giudiziario che quasi sicuramente tornerà a colpirlo. Il nome del sito è la sintesi perfetta della linea difensiva scelta, sul piano mediatico: Renzi si sente perseguitato e vittima di una guerra che non ha cominciato lui.

Lo ha chiarito anche nella sua eNews, in cui ha chiesto un sostegno economico ai suoi sostenitori per Italia viva: «Le perquisizioni, pur se clamorosamente annullate dalla Cassazione, non hanno bloccato i pm fiorentini, ma hanno bloccato i grandi finanziatori che hanno paura delle conseguenze mediatiche di un sostegno nei miei confronti».

Il processo mediatico

L’operazione “Guerra a Renzi” può essere un successo come anche un boomerang. Sicuramente, sarà benzina per il fuoco del processo mediatico. Lo stesso che Renzi – con qualche ragione – considera l’arma di killeraggio che ha stroncato la carriera di un lungo elenco di politici di entrambi gli schieramenti: da Catiuscia Marini a Maurizio Lupi, da Filippo Penati a Claudio Scajola.

Un sito che segua «i processi, le indagini e le accuse», infatti, presuppone che in questa sede vengano pubblicate – o smentite, oppure ancora confutate – notizie che riguardano un procedimento le cui indagini non sono ancora concluse e che non è ancora arrivato alla fase in cui le prove si formano: il contraddittorio.

Renzi, quindi, rischia di smentire sé stesso quando dice che si difenderà nel processo: il processo non è ancora cominciato e con “Guerra a Renzi” il leader di Italia viva accetta uno scontro in quella terra di mezzo che è la fase delle indagini, alimentando l’interesse mediatico. Esattamente la critica mossa alla stampa – e a chi le offre atti d’inchiesta coperti da segreto – che celebra il processo su carta (o web) e poi si disinteressa della sentenza vera, soprattutto quando è di assoluzione. Scaldare così la piazza, pubblica o telematica, rischia di esacerbare ulteriormente il clima intorno a chi deve giudicare, nell’unico luogo preposto: l’aula di giustizia.

 

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