«Martedì sera», promette il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Tg3, si terrà il consiglio dei ministri sul Recovery plan, «noi lavoriamo per costruire, il momento è così difficile». E aggiunge: «Sta arrivando un’impennata di contagi». Il premier dice di voler correre. Ma mentre parla il piano non è ancora arrivato ai capidelegazione della maggioranza. Arriva lunedì solo in tarda serata. Il consiglio dei ministri è convocato per martedì alle 21 e 30.

Ma intanto, a quell’ora, la ministra renziana Teresa Bellanova sbotta: «Noi non abbiamo il documento. Siamo tutti in attesa». Bellanova smentisce che, con la collega Elena Bonetti, si dimetterà prima del Consiglio che dovrà approvare il piano e mandarlo alle camere: «Rispondendo all’appello che è stato fatto alla responsabilità» dice alludendo al Colle, «noi non determiniamo una crisi prima di questo passaggio».

Quel «prima» lascia intendere che arriverà un «poi»: Italia viva consentirà l’approvazione del Recovery da parte degli altri colleghi, o forse anche con il proprio «sì responsabile», ma le ministre presenteranno la lettera da tempo custodita in borsa. La crisi di governo sarebbe ufficialmente aperta.

Domenica sera, dopo un week end di riunioni, trattative, telefonate e videocall, un colloquio fra Matteo Renzi e Dario Franceschini finisce male, com’era partito del resto: Renzi esclude la «crisi pilotata». Nella giornata di lunedì a seconda di chi parla la crisi è a un punto diverso. Si dirige alla schiarita per Pd e M5S (che mettono una sola condizione: «Conte resti a palazzo Chigi»); è ancora a notte fondissima secondo le fonti di Italia viva. Per la delegazione Pd, una volta approvato il piano, «su cosa potrebbe aprire la crisi Renzi?». Non sul Mes, ragiona Federico Fornaro, presidente dei deputati Leu, «perché Iv sa perfettamente che sul Mes non c’è nessuna maggioranza in parlamento». Leu chiede a Conte un incontro «non formale» con le parti sociali.

Le caselle da riempire

Intanto gli sherpa dem lavorano a un esecutivo molto rimaneggiato. Non ci sarà il segretario Nicola Zingaretti, per sua scelta, ma il partito sarà rappresentato ai massimi vertici: con il vice Andrea Orlando e Goffredo Bettini, forse come sottosegretario alla presidenza del consiglio. Si fanno pressioni fortissime perché anche Renzi entri, unica strada per «mettere l’esecutivo in sicurezza». Il leader Iv resiste, anzi di più: «Per il nuovo esecutivo Renzi ha messo la condizione di non entrarci», dice Ettore Rosato. Svelando però un segreto, o quasi: che il no al Conte ter, che Renzi dà per inamovibile, inamovibile non è. In serata Bettini ammette: «Renzi, dice di voler entrare nel merito, poi quando si entra nel merito e si parla di una possibile riorganizzazione, ho la sensazione che non abbia le idee chiare lui».

Conte invece punta al «bis bis», cioè a un rimpasto senza passare per un nuovo voto di fiducia. Il precedente viene ricordato dal Fatto Quotidiano, considerato da molti influente su palazzo Chigi. Risale al 27 luglio 1999: il presidente Giulio Andreotti comunicò alla camera i nomi dei cinque ministri con cui sostituiva quelli della sinistra dc che si erano dimessi contro la legge Mammì: Andreotti ci mise «quaranta secondi» a leggere l’elenco, e fu tutto finito. Fra i dimissionari, dettaglio non da poco, c’è l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al Quirinale il tema non sono i precedenti, molti e diversi, ma la volontà politica.

Ma Renzi dà segnali contraddittori. La preoccupazione resta la messa in sicurezza del Recovery, che però per il Pd è «al sicuro». E che Renzi, racconta, potrebbe anche votare in aula, sempre per la «responsabilità» chiesta – e ottenuta – dal Quirinale. Che che anche nel Pd ci siano dubbi lo dimostra l’appello serale di Bettini agli azzurri: «Forza italia esca dall’ombrello di Meloni e Salvini». In ogni caso la crisi è ormai data per imminente: al Colle è partita la macchina organizzativa per le consultazioni, che sarebbero comunque rapidissime. Il voto anticipato non si può escludere ma si sa che non è lo scenario preferito da Mattarella, per usare un eufemismo.

Rimpasto, cioè Conte bis bis, o Conte ter. Renzi esclude la prima opzione, «in teoria è molto importante sapere la squadra», dice a La7, «ma non abbiamo ancora deciso se sul Mes diciamo sì o no. Mi risponde il presidente a questa domanda?». Non smentisce la sua ambizione di fare il segretario generale Nato, come ha scritto anche questo giornale: «La Nato la decide Biden nel maggio 2022. Non è sul tavolo».

Sul tavolo di Renzi per ora c’è un obiettivo: lo scalpo di Conte. Altro che «crisi pilotata». Poi magari, ma solo alla fine, concedere il ter a un premier molto indebolito. Conte non si fida, accetta di arrivare fino alle dimissioni solo a patto che siano «blindate». Con un accordo già sottoscritto da Renzi. Che a ieri non c’era.

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