Gli osanna si sono levati al cielo milanese di un sabato primaverile. Il leader è riapparso in video: Silvio Berlusconi è tornato a parlare al suo popolo dopo settimane di bollettini medici ufficiali, di relata refero, con le notizie sulle condizioni di salute date da familiari, amici, dirigenti di Forza Italia.

Il videomessaggio, trasmesso alla convention del partito celebrata fra venerdì e sabato, è stato salutato con una comprensibile standing ovation. Passato il grande spavento, ecco il Berlusconi che conferma la sua presenza e cerca di riprendersi la scena, nonostante la malattia, che pure non riesce a essere celata ascoltando la sua voce affaticata. Dietro la narrazione messianica, c’è la realtà di un discorso tutto simbolico e con venature nostalgiche.

Lo sguardo è rivolto al passato, alla «discesa in campo» contro i «comunisti» e l’armamentario propagandistico dei trent’anni di Forza Italia. Quasi nessuna prospettiva futura, giusto un vago accenno al rapporto con il governo: «Continueremo su questa strada, con un rapporto leale e costruttivo con i nostri alleati» e l’attenzione ad alcuni temi: «Vogliamo costruire tutte le infrastrutture necessarie per rendere veramente moderno il nostro paese. Ora dobbiamo anche trovare urgentemente una risposta al problema della siccità».

Non è mancato il solito slogan, «vogliamo aumentare le pensioni, i salari, gli stipendi che sono rimasti quelli di 20 anni fa», che suona quasi come un mea culpa. Dal 2.000 in poi Berlusconi è stato presidente del Consiglio per quasi dieci anni, senza considerare i governi sostenuti dal suo partito con Monti prima e Draghi poi. Un messaggio che imprime la sensazione di un partito che parla già al passato.

Monarchia berlusconiana

Il video è stato comunque un balsamo per tutti i parlamentari e i dirigenti, perché certifica il miglioramento delle condizioni dell’ex presidente del Consiglio. Per giorni hanno visto davanti agli occhi il vuoto del baratro, l’assenza di un orizzonte politico senza un vero successore designato.

Perché, come ammettono senza reticenza in privato vari esponenti del partito, Forza Italia è una monarchia. E nelle monarchie la successione avviene per discendenza familiare. Toccherebbe quindi a un erede al trono prendere il posto del padre, affannato dai problemi di salute.

Ma la progenie berlusconiana non ne vuol sapere, nonostante le pressioni cresciute nel tempo. L’unica ad avere le qualità per ereditare il ruolo è Marina Berlusconi. Solo che ha sempre respinto l’idea, preferendo la leadership delle aziende alla corona politica, ben conscia che sarebbe di latta e non di oro.

Fuor di metafora reale, sono di più i problemi che i vantaggi scaturiti dalla guida di Forza Italia. Alla guida del paese c’è Giorgia Meloni, il centrodestra vede in Fratelli d’Italia il faro, i berlusconiani sono ridotti al ruolo di ancella nella maggioranza.

E la famiglia del leader è più attenta a tenere gli equilibri delle aziende di famiglia. Quando c’è da tagliare non si bada ai sentimentalismi, è già accaduto al Giornale, scaricato quando ci si è accorti che era diventato una zavorra. Lo stesso destino, temono i dirigenti più avveduti, spetterà al partito. Solo che non ci sarà alcun acquirente, come è stato Antonio Angelucci per il quotidiano, ma arriveranno delle opa da Giorgia Meloni, Matteo Salvini e, non ultimo, Matteo Renzi che ha scalzato Carlo Calenda come polo d’attrazione dei forzisti in fuga.

La cassa di famiglia

E che Forza Italia sia legata ai destini della famiglia lo dicono i conti. Nel 2023 le casse partitiche hanno ricevuto una boccato d’ossigeno grazie a 600mila euro arrivati dai cinque figli e dal fratello Paolo Berlusconi con un’elargizione di 100mila euro a testa, a cui si aggiungono i 100mila euro dell’azienda di famiglia Fininvest. Sul totale di 968mila euro di donazioni, più del 75 per cento è nel giro di Arcore.

Forza Italia senza il marchio di fabbrica Berlusconi farebbe fatica ad andare avanti con le sole restituzioni dei parlamentari (a tal proposito Maurizio Casasco, ex presidente Confapi, è stato tra i più generosi con 22.700 euro di donazioni in quattro mesi) o i versamenti volontari delle singole aziende. Il coordinatore, Antonio Tajani, può intanto fare il reggente finché il capo riuscirà a garantirgli una forma di protezione, per quanto eterea e da remoto.

Attingendo dal lessico imprenditoriale tanto caro al mondo berlusconiano, c’è chi – con vette di perfidie – vede nel ministro degli Esteri il «curatore fallimentare» degli azzurri. Sarà chiamato a gestire lo sfacelo di fronte all’evidenza dei fatti, ossia quando l’ulteriore calo di voti farà porre qualche interrogativo ai dirigenti oggi plaudenti alla convention forzista.

La sua alleata più solida, Marta Fascina, ha l’aura della (quasi) moglie di Berlusconi e interprete del pensiero del capo. Ma hq un problema: non possiede la forza per imporre una leadership personale, nonostante stia spingendo la nuova generazione azzurra, tra cui Stefano Benigni, deputato e già coordinatore di Forza Italia giovani.

Tra voto e divisioni 

LAPRESSE

Qualsiasi prospettiva non scalfisce poi il nodo del calendario, acerrimo nemico degli azzurri. Il 2024 è un anno elettorale delicato con le Europee che sono il tagliando di inizio legislatura, un giudizio senza appello né la possibilità di derubricare la vicenda a un voto locale, come avviene per comunali e regionali.

Tajani è un conoscitore dei fatti politici e cerca di smuovere il meno possibile. La sua missione è di non fare danni, perché il fuoco cova sotto la cenere del partito. E che l’aria non sia quella di festa allestita alla convention di Milano è un fatto noto alle cronache.

All’evento milanese c’era uno striscione per Licia Ronzulli a fare da contraltare a quello pro Fascina. Ma questo è il minimo. Appena qualche giorno fa, a Montecitorio, nel gruppo si è consumata una lite furibonda tra l’attuale capogruppo Paolo Barelli e il predecessore, Alessandro Cattaneo.

L’oggetto del duello era lo scivolone del voto sullo scostamento di bilancio, che ha mancato il quorum. Più in generale sotto accusa è finita la modalità di gestione del gruppo nel suo insieme. Tra i deputati, manca una “volpe dell’assemblea”, un tipo alla Simone Baldelli, magari poco appariscente sui grandi dossier, ma che da delegato d’aula possa muoversi tra le pieghe dei regolamenti.

Per sminare il campo, nei giorni scorsi Tajani ha cercato un riavvicinamento con la capogruppo al Senato, Licia Ronzulli, facendo circolare la voce di una tregua. Era poco più di un auspicio.

Nei fatti il coordinatore nazionale di Forza Italia ha spiegato che bisognava evitare gesti plateali o azioni somiglianti a degli strappi. Si stava materializzando la presenza in video di Berlusconi e non si poteva rovinare la festa. Da parte sua Ronzulli ha recepito il messaggio, consapevole che il momento di calcare la mano non era certo la convention, affidando comunque al suo sodale Cattaneo un messaggio in bottiglia: «La logica del “meno siamo meglio stiamo” non ci deve appartenere». Con un’aggiunta il «partito deve essere scalabile». Non fino al vertice, visto che il trono è solo del re, ma almeno fino ai ruoli di vice.

Gli arrivi sul Titanic

Le parole sono arrivate di fronte al “padrone di casa”, Alessandro Sorte, coordinatore forzista in Lombardia subentrato proprio a Ronzulli in questo compito. Oltre ad aver inaugurato i lavori della due giorni, Sorte si è mosso rimarcando l’importanza nelle gerarchie di quel partito che per gran parte della scorsa legislatura aveva lasciato per abbracciare la causa di Giovanni Toti e del suo progetto Cambiamo!

Solo che di fronte ai deludenti risultati della creatura del presidente della Liguria, Sorte ha deciso di cambiare, sì, ma la casacca. Rimettendo i vestiti azzurri e con un’accoglienza impensabile, visto che dal 2021 a oggi ha ricevuto una ricompensa politica per la vicinanza all’asse Fascina-Tajani.

E parlando di accoglienza, gli azzurri sono stati ringalluzziti da eventi quasi inattesi, almeno fino a pochi giorni fa. In poche ore ci sono state due new entry, provenienti da diverse direzioni, sebbene con la stessa estrazione territoriale.

Dal Movimento 5 stelle è arrivato Giancarlo Cancelleri, un tempo fiero avversario delle destre in Sicilia nei panni di candidato alla presidenza della regione e ora in Forza Italia ha detto di aver trovato una «famiglia di valori».

Dopo qualche giorno dal Pd è giunta l’eurodeputata Caterina Chinnici, che alle ultime elezioni nell’isola ha sfidato proprio il forzista Renato Schifani, in una parabola per cui i principali avversari sembrano pervasi da una sindrome di Stoccolma. Gli artefici delle loro sconfitte diventano una scialuppa di salvataggio. Anche se inizia ad assomigliare a un Titanic.

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