Fabio Fazio e Lucia Annunziata decidono d’andarsene e come reagiscono le Destre? La Destra di Salvini, di potere e convulsiva sventola gli scalpi a saldo di una promessa elettorale. La Destra Mediaset sorveglia gli equilibri del duopolio, di certo contraria a tracolli della Rai che costituisce il puntello esterno del sistema Publitalia privando d’audience gli altri competitori commerciali.

La Destra del trio (Dio, Patria, Famiglia) di Meloni godrà d’essersi allargata nei TG a spese delle altre Destre, e di dire la sua nella fabbrica dei talk show, oltre a celebrare la festa di Sanremo. Nel contempo proprio questa Destra meloniana, ormai certa del governo dell’insieme e delle risorse produttive, forse avrebbe preferito “litigare convivendo” con quegli esuli, per non affrontare le prossime stagioni con palinsesti sbilanciati e in una competizione per le audience in cui ha soltanto di che perdere.

Sono stati frettolosi?

È stato dunque frettoloso Fazio a decidere d’uscire, facendo un favore ad ogni Destra, di quelle ormai padrone della Rai? Annunziata doveva sopportare la mosca al naso e tenersi la domenica pomeriggio a beneficio della migliore informazione televisiva, quanto a senso, utilità ed efficacia, mentre altrove ronzano i bestiari da talk show? Certo, mano a mano che loro sbattevano la porta, ai piani alti Rai, e nella maggioranza del governo qualcuno si sfregava le mani soddisfatto. Ma è sicuro che a Fazio e Annunziata convenga essere rivali della Rai dal di fuori invece che martiri all’interno. Perché lì dentro, in una Rai ridotta a sopportarli, sarebbero condannati a logorarsi fra negoziati e ricatti senza fine per comporre le scalette, compensare gli ospiti, avviare (quanti? quali?) servizi in produzione.

Fuoriesce chi può

Ovviamente entrambe le figure hanno potuto prendere la porta avendo accumulato forza e notorietà esportabile in altre aziende. Assai diversa è la condizione di tanti artisti e autori e (in particolare) dei funzionari che della Rai, per così dire, possiedono il mestiere: ne conoscono i meandri e sanno come tirare per la giacca la fazione politica che ne ha favorito e protetto la carriera. Un talento non da poco, avendolo scrutato da vicino, ma senza valore lontano dal Cavallo. La partita sostanziale si gioca su due fronti: la sostituibilità in Rai di tanto augusti esuli e il risultato che questi stessi costruiranno altrove.

“Sostituire” è un processo

Si usa dire che “nessuno è insostituibile” e in senso stretto questo è vero. Ma sostituire pezzi da 90 richiede tempo perché i risultati si costruiscono anno dopo anno. E richiede lungimiranza per poter commettere molti errori inevitabili sia nel concepire i programmi che nel soppesare le persone. L’essenziale è aver le mani libere e non restare prigionieri né di formule sbagliate né di personaggi che alla prova si mostrino inadatti. Quel che non funziona va subito soppresso, quel che è piccolo ma potrebbe crescere, va mantenuto e sviluppato ad ogni costo.

Il pendolarismo elettorale

Lo star system intellettuale della Destra è quel che è: i suoi “intellettuali pubblici” più noti (i Buttafuoco, i Guerri, i Veneziani) si portano appresso l’alone di tristezza di ogni schifamondo. E dunque, presi in giuste dosi, li troviamo interessanti, ma disastrosi per la guida di programmi. E poi la tv di Destra in Italia già esiste da quasi mezzo secolo e si chiama Mediaset.

Certo, è la Destra scazzafrulla e consumista, che copre dal ringhio delle Iene ai romanzoni della d’Urso e trita il senso nella Striscia. Fidelizzante grazie ai palinsesti sempre uguali. È quello, ci chiediamo, il terreno su cui si vuole avventurare la Destra nazionalista, innalzata al governo non dalla forza delle sue visioni alternative, ma da un semplice e democratico colpo pendolare di protesta? Dio, Patria e Famiglia sono una riserva di potenza intellettuale, o solo una sparata reazionaria?

Il nazional popolare perduto

Resta il fatto che, fuoruscendo dalla Rai il retaggio nazional popolare di ascendenza democristiana e comunista, l’azienda perde il contatto proprio con quella parte di Paese che il canone da sempre lo paga convinta e non perché incatenato alla bolletta. Cosa accadrà allora quando a fine anno (giusto in tempo per sventolare un altro scalpo in vista delle Europee) la “tassa più odiata dagli italiani” scomparirà dalla bolletta per ridiventare volontaria o ridursi a un finanziamento a piè di lista celato nelle tasse generali? Questo smarrimento di certezze è di sicuro la condizione meno adatta a favorire la fermezza, la lungimiranza e le risorse necessarie per riparare i buchi nella barca.

La partita di sistema

E poi c’è da seguire quel che riusciranno a combinare i fuorusciti (e ancor di più i loro agenti che amministrano un vasto portafoglio di talenti) per acchiappare altrove il pubblico nazional popolare di una Rai presa in contropiede che, Destra o non Destra, per restare lottizzata non esiterà a farsi più piccina e sovvenzionata. Tanti fattori concorrono attualmente a rendere possibile una replica, ma molto più potente e strutturata, del “fattore Mentana”, che quasi tre lustri or sono accese di punto in bianco la luce su La7.

Allora Mentana tolse il pubblico al Tg1 di mamma Rai mentre Mediaset campava placida e tranquilla. Che Discovery a qualcosa di simile punti pare certo, altrimenti sarebbe non un’azienda, ma un vero manicomio. E poi c’è l’oggettiva incognita di Cairo, con la sua La7 dal palinsesto di talk show; solido, ma appeso alle turbe di conduttori-padroni che non saprebbe come sostituire. Non potrà del resto proseguire in eterno nel ruolo del monello, spizzicando zolle dalla montagna della pubblicità che Mediaset s’ingoia, rassicurato dall’esser troppo piccino e trascurabile per esser fatto fuori.

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