Fino a qui tutto bene. A differenza di quello che è successo una settimana fa a Strasburgo, la delegazione dem divisa a metà sul piano ReArm Eu – 11 astenuti, 10 sì, uno sfiorato cappotto per la linea della segretaria – mercoledì al voto sulla risoluzione sulle comunicazioni della premier in vista del Consiglio europeo, il Pd non si spaccherà. Martedì al Senato i dem hanno presentato un testo unitario, che però al voto non è arrivato, è stato «precluso» dal sì alla risoluzione trumpista del governo.

I pontieri dem hanno lavorato notte e mattina fino alle 11 e mezza, quand’era convocata la riunione dei gruppi alla sala Berlinguer della Camera. C’era da mettere insieme la richiesta di Elly Schlein di «una revisione radicale» del Piano von der Leyen con la posizione critica ma aperturista dell’ala riformista. Lo stallo è durato ore di riunioni su Zoom e di controriunioni sulle chat: i riformisti chiedevano che almeno si attenuasse l’aggettivo «radicale», la segretaria ha fatto sapere che la linea del Pd è la sua, aggettivi compresi.

Alla fine ha vinto il testo preparato con cura da Peppe Provenzano, responsabile Esteri, e dai capigruppo Francesco Boccia e Chiara Braga. Il «radicale» è rimasto, ma la formulazione del passo incriminato, il numero 8 della risoluzione, va bene a tutti: chiede al governo l’impegno «agli investimenti comuni» per «l’autonomia strategica», per «colmare i deficit alla sicurezza europea, al coordinamento e all’integrazione della capacità industriali europee e dei comandi militari, all’interoperabilità dei sistemi di difesa verso un esercito comune europeo», quindi la famosa «radicale revisione del piano di riarmo», per «assicurare investimenti comuni effettivi non a detrimento delle priorità sociali».

Hanno vinto tutti

L’area della segretaria canta vittoria. Ma anche i riformisti. Alessandro Alfieri si dice soddisfatto: «Aver accettato per la prima volta che bisogna spendere di più per fare la difesa comune in linea con il Libro bianco e chiedere un cambio radicale su aumento bilanci nazionali senza condizionalità: è la posizione comune a cui siamo arrivati discutendo insieme. Non è la vittoria dell’uno o dell’altro ma la vittoria del Pd che discutendo trova posizioni condivise».

Così alla riunione Schlein si è potuta godere il valzer degli interventi concordi, sfumatura più sfumatura meno, anche se l’applauso più forte l’ha preso Boccia: per gli auguri di compleanno. La segretaria ha ignorato lo psicodramma alle spalle e ha anticipato il suo intervento di mercoledì in aula: attaccherà «la destra che ha tre posizioni diverse» e Giorgia Meloni «che non difende l’interesse nazionale», «ha passato l’inizio dell’anno a vendersi come pontiera tra Trump e l’Ue» ed è già diventata la sua «complice». Avrebbe potuto persino vantarsi del fatto che al Senato Mario Draghi ha smontato il piano von der Leyen. Lo ha fatto Andrea Orlando: «Divertente vedere quelli che applaudivano pochi giorni fa von der Leyen applaudire oggi Draghi che dice, in pratica, che il piano ReArm Eu è fuffa».

Fino a qui tutto bene, dunque, nel Pd. Ma è solo una tregua. Perché se Piero De Luca, riformista, parla di «un lavoro condiviso positivo», e Paola De Micheli spiega che «la mediazione trovata dimostra che non occorre alcun congresso», un collega spiega off che il testo «più che un punto di equilibrio è un equilibrismo», e un altro rivela che i “falchi” di Schlein hanno parlato chiaro: «Se non votate la risoluzione, il congresso lo fa la segretaria. E lo stravince».

Il riferimento è alla proposta dell’ex senatore Luigi Zanda. Suonava come una sfida a Schlein, invece le ha dato un’idea: tentare il colpaccio, riportare il Pd ai gazebo. E contarsi sul pacifismo. Sbotta un riformista di rango: «Il mondo salta e noi discutiamo di fare il congresso?».

Il chiarimento rimandato

Nella maggioranza, però, in molti pensano che nel Pd «un chiarimento va fatto». Anche la segretaria, che ai suoi ha detto: «Il chiarimento si farà, nei luoghi, tempi e modi opportuni». Frase sibillina. Escluso un referendum fra gli scritti, e un congresso tematico, che piacerebbe all’ala sinistra, forse sarà una direzione convocata ad hoc. Del resto il tema di come arrivare a una difesa comune europea (Alfieri ha spiegato che comunque si baserebbe sulla spesa nazionale), resta un tasto dolente.

Le distanze nel Pd sono forti: c’è chi sospetta che qualcuno dell’area Schlein mercoledì voti la risoluzione M5s, che scolpisce «la ferma contrarietà al ReArm». «Non daremo alibi», assicura un pacifista dem, «ora dobbiamo stringerci attorno alla segreteria, poi vedremo».

Certo, la tregua nel Pd e l’attacco a una maggioranza divisa ma che vota compatta è una coperta corta: non copre il baratro che si apre sempre più con Avs e M5s. Le coalizioni divise «sono le macerie politiche e morali del bipolarismo», sentenzia Carlo Calenda in aula. Forse anche quelle di un centrosinistra mai nato.

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