Riunione tesissima sulla risoluzione sulle comunicazioni della premier. La leader: il piano ReArm va radicalmente cambiato. Mediatori in campo
Nel Pd la posta in gioco, martedì al Senato e mercoledì alla Camera, vale molto, vale quasi un congresso, quel congresso che l’ex senatore e padre nobile del partito Luigi Zanda ha chiesto apertamente, e alcuni riformisti hanno fatto capire di condividere: ma che si potrebbe trasformare in un boomerang se Elly Schlein decidesse davvero di convocarlo, lei, a schiaffo contro mezzo gruppo dirigente, come prova del nove della sua forza nella base dem.
Prova ne è la nervosa smentita di Antonio Decaro, votatissimo europarlamentare, di aver intenzione di sfidare la segretaria, riferita da alcuni retroscena di stampa.
Nel pomeriggio di lunedì una riunione di un gruppo stretto di parlamentari si è data il compito di scrivere la risoluzione dem, possibilmente condivisa da tutti, che martedì sarà votata a palazzo Madama dopo le comunicazioni della presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo di giovedì (mercoledì si replica alla Camera).
Nel Pd un altro strappo, un’altra spaccatura dopo il voto a Strasburgo della scorsa settimana, in cui mezza delegazione europea ha votato sì al Libro bianco sulla difesa di Ursula von der Leyen contro l’indicazione della segretaria (che aveva impartito l’astensione), non sarebbe senza conseguenze politiche, avvertono dalla maggioranza.
La seconda frattura non sarebbe contenibile, anche perché a Strasburgo a votare in dissenso è stato anche Stefano Bonaccini, leader dei riformisti ma, soprattutto, presidente del partito, «uno che dovrebbe svolgere il ruolo di garante», fa notare un parlamentare vicino alla segretaria.
Alle 15:30 si è riunito dunque il gabinetto di guerra, con il mandato di fare la pace: collegati su Zoom i due capigruppo Chiara Braga e Francesco Boccia, il responsabile Esteri Peppe Provenzano, i capigruppo dem nelle commissioni Difesa Stefano Graziano e Alessandro Alfieri, e ancora Enzo Amendola, Piero De Luca e Tatjana Rojc, delle commissioni Affari europei. La volontà espressa da tutti era di trovare una posizione comune, certo. Ma va detto che la segretaria, che viene descritta come molto irritata per lo strappo di Strasburgo, ha chiarito ai suoi di non avere alcuna intenzione di farsi dettare la linea dalla minoranza riformista: il piano ReArm Eu per lei è tutto sbagliato, l’ha detto dall’inizio e già l’astensione per lei è stata uno sforzo di mediazione.
La mediazione difficile
Stavolta però mettere insieme le due anime del partito dovrebbe essere più semplice, viene spiegato dalle voci di dentro della riunione: la risoluzione si rivolge al governo, a Giorgia Meloni, e deve stringere la premier alle contraddizioni di un piano che «riarma» i singoli stati, non fa debito comune. E quindi non fa – nella lettura di Schlein, non della minoranza – nessun passo avanti verso un esercito comune europeo e una difesa comune.
Il testo del Pd, scritto da Provenzano, chiede di cambiare radicalmente il piano ReArm Eu. Rispedendo al mittente, interno al partito, l’accusa di pensarla come Matteo Salvini e di isolarsi dai socialisti europei. «La nostra critica è opposta a quella della Lega», spiega Boccia, «il Pd crede nel federalismo europeo e ha criticato ReArm Eu proprio perché rinvia e non accelera la difesa comune. Per questo la segretaria ha aperto un confronto anche nel Pse». La tensione si consuma intorno agli aggettivi: anche i riformisti sono d’accordo a chiedere cambiamenti, non radicali ma «profondi». Insomma non accettano che il senso del testo sia una bocciatura del Piano.
Allo scoccare della seconda ora di confronto i riformisti chiedono un time-out, la riunione viene aggiornata dopo un’ora, poi due. Uno dei presenti parla di «riunione drammatica», un altro invece minimizza: «Stiamo ragionando». Ed è vero che di voglia di rompere non ce n’è un granché da parte della minoranza. Anzi, è chiaro che rompere stavolta non si può. Perché a fronte delle dure posizioni della vicepresidente del parlamento europeo Pina Picierno, ripetute al Foglio («inutile girarci intorno, siamo in fibrillazione», e rivolta alla segretaria: «Arrivano decisioni dall’alto senza che ci si confronti. La donna sola al comando non è un modello che va bene al Pd»), i suoi compagni di corrente a Roma sono meno drastici.
Certo, nessuno può perdere la faccia: così rientrano nella riunione con qualche proposta di modifica, per poter raccontare un risultato win-win. Spiega un altro dei presenti: «Il testo di Provenzano è potabile, impegna il governo a modificare il piano di von der Leyen, e non a rigettarlo». Dall’altra parte: «Cerchiamo la massima unità ma non accettiamo nessun arretramento sulle critiche al Piano».
Una posizione in bilico, di tutti: la segretaria non può spingersi fino a mettere nero su bianco il no al ReArm Eu, d’altro canto i riformisti non possono replicare il loro sì pieno. Mentre il nostro giornale va in stampa, il testo definitivo ancora non c’è. Stamattina è atteso alla riunione dei gruppi, alle 11 e 30, prima del discorso di Meloni al Senato.
Un alibi per Meloni
Ma le due anime del Pd sanno che nessuno può stravincere, nessuno può straperdere. In ogni caso è tollerabile qualche distinguo al momento del voto: ci sono pacifisti come Paolo Ciani alla Camera e Susanna Camusso al Senato che su questi temi hanno “licenza” di votare in dissenso. L’importante stavolta è che una spaccatura nel Pd non diventi l’alibi per coprire quello che succede a destra: dove gli sherpa di Meloni temono un qualche sgambetto leghista. E se una spaccatura nelle opposizioni fa crisi di nervi, una spaccatura nella maggioranza fa crisi di governo.
Da fuori c’è chi tira il Pd, da un lato e dall’altro del centrosinistra mai nato. L’illusione di convergenza data dalla piazza “europeista” di sabato scorso è già alle spalle. Da una parte Carlo Calenda: «È il momento della chiarezza, sia per le forze della maggioranza che per quelle dell’opposizione, e non quello delle parole equivoche». Per il leader di Azione Meloni e Schlein pari sono: entrambe tentennanti. Dalla parte opposta Schlein è sfidata da uno scatenato Giuseppe Conte, in fase di iperattivismo “pacifista” in vista della manifestazione dei Cinque stelle del prossimo 5 aprile.
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