No alla riforma Nordio, ma con calma. Il comitato parte, il Pd aspetta

«No ai pieni poteri», e fino a qui tutto bene. Ma con calma e gesso. Nel Pd la campagna per il No non è ancora iniziata. O meglio: una risposta sulla riforma Nordio non si nega a nessuno. Ma «non c’è nessuna fretta, anche i partiti della destra non si sono ancora organizzati», spiega un parlamentare molto vicino a Elly Schlein, «E poi, avete visto la segretaria in questi giorni: alza la voce sulla finanziaria, spinge sulle regionali. Il messaggio è chiaro: portiamo a casa bene la Campania e la Puglia. Poi facciamo capire al paese che la manovra è un regalo ai ricchi. E dopo, a fine dicembre, o a gennaio, partiremo, e avremo certo molti elementi in più proprio per fare la campagna referendaria». Del resto giovedì scorso Schlein, dopo averlo confidato ai suoi, lo ha annunciato anche in pubblico, all’evento del nostro giornale “Il Domani delle donne”: il Pd combatterà per il No «con un fronte ampio politico e sociale» – da notare i due aggettivi, ci torneremo – «ma non lasceremo Meloni i prossimi cinque mesi per parlare solo di Garlasco. Riempiremo questi mesi di battaglia per la sanità, per aumentare gli stipendi e abbattere le bollette per le imprese e per le famiglie». Dunque, dell’organizzazione del «fronte ampio politico e sociale» se ne riparla, viene fatto sapere, «non prima di gennaio». Il vero obiettivo del referendum è la Costituzione Lo scatto della società civile Come sarà composto questo «fronte ampio» è ancora tutto da vedere. Perché nel frattempo la «società civile» si è organizzata da sé. La settimana scorsa le associazioni che compongono «La via Maestra», la sterminata rete di sigle raccolta intorno alla Cgil che ha lavorato per i referendum sul lavoro e contro l’autonomia differenziata, si è riunita due volte. Si sono mosse le associazioni storiche delle campagne in difesa della Carta, da «Salviamo la Costituzione» (quella che capitanò il referendum contro la riforma costituzionale di Silvio Berlusconi nel 2006) al Coordinamento per la democrazia costituzionale, tutte animate da prestigiosi costituzionalisti. Ancora non hanno costituito un comitato per il No, ma è questione di settimane. Confermativo, oppositivo o abrasivo: il referendum e il potere degli aggettivi Due i punti ancora in ballo: primo, che la Cgil accetti di allargare il comitato anche alla sua “sinistra”, e in particolare ai sindacati di base, e alla Uil, sempreché accetti. Secondo, il tema della raccolta delle firme. Per molti sarebbe meglio raccogliere le firme per la richiesta di un referendum, anche in presenza della richiesta della consultazione da parte dei parlamentari. Non solo per cominciare a mobilitare il popolo del No, ma perché attraverso la raccolta delle firme popolari «cambia la natura giuridica del comitato, diventa promotore dunque un potere dello Stato», spiega un costituzionalista. Però su questo secondo punto la Cgil stavolta risponde picche. ll 6 novembre scorso, all’assemblea generale di Firenze, il sindacato ha messo nero su bianco il suo impegno per «promuovere e sostenere le ragioni del No» e ha dato mandato alla segreteria confederale di promuovere «insieme alle associazioni, a cominciare dalla “Via Maestra”», «il comitato più largo, trasversale e inclusivo possibile» per contrastare la Legge Nordio che «stravolge la nostra Costituzione, mina il bilanciamento dei poteri, mette a rischio l’autonomia della magistratura e l’uguaglianza delle cittadine e dei cittadini di fronte alla legge». Ma l’organizzazione è impegnata pancia a terra alla riuscita dello sciopero generale del 12 dicembre, convocato in solitaria. Oggi pomeriggio Maurizio Landini ne illustrerà le ragioni alla segretaria Schlein, al Nazareno, in un incontro sulla manovra. Non può mobilitare i funzionari ai banchetti, come fece in quantità monumentale per i quesiti della scorsa tornata. E se non si muove la Cgil, non si muovono l’Arci e l’Anpi. Si potrebbe provare la raccolta online: più semplice da organizzare, ma i tempi sono troppo stretti (da fine ottobre per tre mesi) per un esito certo. Il “volto” del referendum: il dilemma Berlusconi pesa sulla maggioranza Il partito dove lo metto Poi c’è la questione del ruolo dei partiti. Nelle riunioni delle associazioni in molti propendono perché politica e società civile stavolta marcino divisi. Per colpire uniti, certo, ma a ciascuno la sua campagna. D’altro canto, per i partiti non è esteticamente consigliabile farsi un comitato tutto per sé. Stavolta, a differenza della precedente, del fronte parlamentare sono rimasti in tre a ballare l’Alligalli: Pd, M5s e Avs. La foto sarebbe disperatamente più vuota di quella, affollatissima, della consegna delle firme alla Cassazione per l’ultima tornata referendaria: una invincibile armata – che però poi ha perso – che andava da Rosy Bindi a Maria Elena Boschi, passando per tutti i leader del centrosinistra, anche Schlein e Conte che pure all’epoca fraternizzavano poco (solo Calenda si tirò fuori), per non parlare degli attivisti e dei costituzionalisti schierati sugli scaloni del Palazzaccio di Roma. C’è un altro problema: le parole d’ordine non sono state ancora scelte. Fin qui l’unico slogan che mette d’accordo Pd e M5s è «No ai pieni poteri», quello usato in aula al momento dell’approvazione della legge. Ma ci sono mille sfumature in questo No. E non sarebbe semplice mettere insieme gli ex magistrati ora schierati con M5s, Scarpinato e Cafiero De Raho, con i riformisti del Pd che già hanno chiesto a Schlein di decidere insieme il profilo della campagna. Morale: o i partiti entrano da ospiti nel comitato delle associazioni, dunque senza inviare i segretari nazionali, o finirà più laicamente ciascuno per sé. E No per tutti.