Roberta Lombardi, che ieri sera è entrata nella giunta regionale del Lazio guidando la componente Cinque stelle, è stata prima la zarina, poi la Faraona, oggi è “Black Lombard”. E se i suoi conti sono giusti, la sua scommessa la porterà alla guida della Regione. Il soprannome nasce una sera a pochi giorni dalle elezioni regionali del Lazio, il 4 marzo 2018: l’intero stato maggiore del Movimento 5 stelle è riunito per la serata conclusiva della campagna elettorale nazionale e dovrebbe esserci un’atmosfera di festa, invece Lombardi non le manda a dire. È furiosa perché quasi nessun big ha partecipato ai suoi eventi, né Beppe Grillo, né Luigi Di Maio. Un affronto, per chi come lei fa parte del Movimento dalla primissima ora, quando i luogotenenti dei Cinque stelle erano Nicola Morra in Calabria, Manlio Di Stefano a Milano e lei nel Centro Italia. La candidatura alla Regione Lazio arriva come una retrocessione, dopo che nel 2016 la Faraona si è vista sfilare dalle mani da Virginia Raggi la possibilità di ambire al Campidoglio con il suo uomo Marcello De Vito.

All’epoca Lombardi era già una parlamentare esperta, che aveva ricoperto per prima il ruolo di capogruppo alla Camera, ma il gruppo dirigente alla fine aveva deciso che il comune di Roma non era cosa per lei. Lombardi inizialmente aveva deciso di giocare per la squadra, mettendo a servizio della candidata le sue conoscenze per segnalare le persone che secondo lei avrebbero potuto affiancare al meglio Raggi. Da parte della futura sindaca era arrivato un fermo rifiuto: poi una formalizzazione dello strappo tra le due, mai più ricucito. Ad aggravare la situazione anche il teso rapporto, dopo le elezioni, tra la neosindaca e il minidirettorio che l’aveva di fatto commissariata: Lombardi ne era membro, salvo poi lasciarlo dopo l’ennesimo scontro con Raggi sulle nomine di Daniele Frongia e Raffaele Marra.

Nel 2017 continuano a volare parole poco gentili tra Raggi e Lombardi, con la prima che definisce la presenza alle regionarie della seconda una «candidatura come tante» mentre la futura candidata mette il dito nella piaga degli scandali del Campidoglio definendo Raffaele Marra, ex collaboratore della sindaca, «il virus che ha infettato il Movimento».

La campagna

Lombardi accetta la “retrocessione” e si lancia nella campagna elettorale regionale, organizzato assieme alla frangia romana del Movimento: Paola Taverna e i suoi fedelissimi, ma anche Fabio Massimo Castaldo, uomo di Di Maio oggi vicepresidente del parlamento europeo. A coordinare il tutto è Augusto Rubei, attuale portavoce del ministro degli Esteri, che si era occupato anche della campagna elettorale di Raggi. L’esperienza del Lazio, però, non appare sulla sua pagina Wikipedia. La candidata può contare sull’appoggio degli attivisti, che la conoscono bene. A fine 2017 incontra anche l’imprenditore Luca Parnasi: alla Camera, spiega lei, perché la presenza sia registrata. Senza alcun seguito, sostiene. In campagna raccoglie oltre 44mila euro da persone fisiche e altri 42mila da altri soggetti: quasi tutta la seconda tranche è fornita dal Comitato elettorale Lazio 2018 - Regione di Vita, riconducibile a tre soci. Uno di questi è Raffaele Fanelli, attivista storico del M5s di Ostia, che negli anni ha contribuito all’organizzazione di tutti i grandi eventi del Movimento, compresa Italia a Cinque stelle al Circo Massimo. Segno che, pur non potendo fornire il sostegno dei volti noti, almeno economicamente Grillo non ha dimenticato la sua plenipotenziaria a Roma. Alla fine, però, Lombardi arriva terza. Pesano, secondo chi le è vicino, i voti che sono mancati proprio nella capitale, dove la sindaca non ha mosso un dito per aiutarla. La fenditura tra le due si allarga sempre di più, e la neoconsigliera diventa il punto di riferimento di tutti quelli che si trovano in rotta di collisione con la sindaca.

La Pisana

In Consiglio regionale il neopresidente Nicola Zingaretti arriva azzoppato da un governo di minoranza. Lombardi intravede la possibilità di portare avanti le proprie istanze: non si può parlare di un appoggio esterno, ma i numeri alla maggioranza non mancano, e intanto, il M5s porta a casa punti di programma, come l’ampliamento del parco dell’Appia antica in una zona su cui in precedenza erano stati approvati dei programmi edificatori. Per i grillini, che si mantengono fuori dalla maggioranza ma riescono comunque a portare avanti le proprie battaglie, sembra filare tutto liscio: poi arriva però dai vertici del Movimento l’indicazione di votare la mozione di sfiducia a Zingaretti a fine 2018 presentata da alcuni consiglieri di destra. Un pesante stop a un processo d’avvicinamento che Lombardi sta portando avanti insieme a Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della regione che teneva l’altro capo della trattativa fino alla sua elezione all’europarlamento. Alla fine, però, il piano della sfiducia non è mai andato in porto perché a mancare sono stati in primis i voti di Forza Italia. Tutto sembra preludere alla stabilizzazione di un rapporto ormai concreto quando ad autunno 2019 il M5s va al governo col Pd, e invece, durante un appuntamento con gli attivisti inaspettatamente Lombardi chiude a qualsiasi possibilità esibendo un manifesto che recita «mai col Pd».

Per i consiglieri Cinque stelle che già guardavano a una collaborazione più profonda col Pd, un brutto colpo. E l’inizio, dice qualcuno, della nuova strategia di Lombardi. La consigliera, che in precedenza non aveva perso occasione di bacchettare la sindaca sulle questioni che da purista M5s teneva più a cuore, dalla gestione dei rifiuti alla questione dello stadio della Roma, (per contrastarlo il gruppo pentastellato regionale era arrivato ad autofinanziarsi un parere a un pool di avvocati amministrativisti) perde progressivamente mordente. Dopo lo scontro con Raggi sull’arresto di Marcello De Vito tra le due cala il silenzio. Silenzio anche sull’espulsione del suo fedelissimo Marco Cacciatore, cacciato dopo aver votato il decreto regionale collegato al Bilancio insieme alla maggioranza per ottenere la sanatoria per la regolarizzazione degli occupanti nelle case popolari, un tema non incluso nel programma di Lombardi, ma caro all’ex capogruppo, da sempre attenta all’emergenza abitativa. Lombardi è anche membro del Comitato di garanzia insieme a Vito Crimi e Giancarlo Cancelleri. Si tratta dell’organo nazionale di controllo dello statuto del Movimento, nonché organo d’appello per i procedimenti disciplinari: nel caso di Cacciatore, però, la consigliera ha deciso di non spendersi.

Il suo compito interno, insieme al suo ruolo chiave nel primo laboratorio sul territorio dell’alleanza strutturale Pd-M5s le permettono di godere di una posizione privilegiata anche all’interno del partito, secondo alcuni non più sostenuta dalla prova dei voti.

Il fatto di entrare in giunta, scavalcando anche il voto su Rousseau, ancora in rotta con i vertici nazionali, porta Lombardi un passo più vicino al suo nuovo traguardo, ossia creare un legame sufficientemente saldo per garantirsi un posto nel ticket col Pd nelle prossime elezioni. Quel che succederà nel frattempo non avrà più nessun impatto su di lei: se anche Zingaretti decidesse di correre per il Campidoglio, un’eventualità complicatissima da gestire per il M5s, non influirebbe ormai più sulla sua strategia. Il nuovo assessorato alla Transizione ecologica e Innovazione digitale che presiederà sarà l’occasione per cementare ancora di più il rapporto col Pd del Lazio.

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