Era annunciata per domani, giovedì sera, la riunione del tavolo del centrosinistra romano che doveva varare il regolamento per le primarie del 20 giugno. Da lì a breve dovranno partire le raccolte di firme per le candidature. Ma soprattutto quella riunione sarà l’ultimo passo formale prima che venga lanciata la corsa Roberto Gualtieri, ex ministro dell’economia del governo giallorosso e all’epoca uomo ponte fra Pd e Giuseppe Conte. Da tempo Gualtieri si considera il candidato in pectore per il Campidoglio, preso atto che Nicola Zingaretti, dopo il burrascoso addio alla segreteria del Pd, ha detto di non essere disponibile alla corsa. 

Serve ancora tempo

Ma la riunione è slittata. Di un giorno, per ora. Ufficialmente serve più tempo per scrivere il regolamento delle primarie. Eppure qualche tessera del puzzle democratico ancora non è andata al suo posto. Ed è la tessera più importante: quella del candidato. Il tentativo di convincere Zingaretti è ancora in corso. Alcuni sondaggi tenuti riservati dal Nazareno dimostrano che è lui il nome più forte in città. La scommessa non è ‘solo’ – si fa per dire – romana: Enrico Letta sa che la sua possibilità di costruire «il nuovo Pd» passa dal successo del Pd alle amministrative. Ha affidato il dossier delle città all’ex ministro Francesco Boccia, un combattente. Sul caso Roma ieri un autorevole esponente dem parlava di «ancora 48 ore prima di chiudere».

A chiedere conto delle voci, ieri però si ricevevano solo smentite. Innanzitutto l’interessato: da settimane, con cadenza quotidiana, il presidente della regione Lazio ripete che vuole restare al suo posto. Ancora ieri all’inaugurazione di un parco romano, all’inesorabile domanda se Gualtieri sarà il sindaco di Roma ha risposto un asciutto «Me lo auguro». Dal Nazareno, la sede del Pd, la risposta è quella di tutti i giorni: «Non ci sono novità». A domanda diretta sull’esistenza di una riflessione in corso sul candidato al Campidoglio la risposta è la stessa. Appena eletto segretario Letta si è trovato a dover stoppare la notizia, finita sui giornali, che Gualtieri era pronto a partire. Un evidente tentativo di metterlo di fronte a un fatto compiuto. Letta non ha apprezzato. Gualtieri ha negato di essere il responsabile della spifferata. Ma in città si segnala l’attivismo di Claudio Mancini, suo grande sostenitore, tesoriere del Pd locale, e già uomo chiave delle decisioni del Mef giallorosso. Mancini fa fatica a mordere il freno. Anche se dopo quell’episodio segretario ed ex ministro si sono incontrati e si sono accordati di aspettare le decisioni del Pd romano. Ora chi è vicino a Gualtieri si trincera dietro un «Roberto fa quello che dice il partito». E comunque nega che l’annuncio della corsa possa arrivare entro questa settimana.

Il nodo Cinque stelle

Dettaglio che torna con le voci su Zingaretti, che pure vengono sopite, taciute, negate. La verità è che il presidente, che preferirebbe restare al suo posto, comunque non resiste al pressing per un capriccio. C’è in ballo una questione tutta politica: il Lazio è rimasta una delle poche regioni governate dal centrosinistra. Le eventuali dimissioni di Zingaretti passano per la garanzia che i Cinque stelle garantiscano un ritorno ordinato al voto, cioè senza colpi di testa, e in coalizione con il centrosinistra. Per non consegnare la regione alle destre. Ma chi può dare questa garanzia in un movimento in pieno marasma? Si aspetta una risposta da Giuseppe Conte. Che deve fare i conti con tante questioni interne. E con Virginia Raggi, che certo non è amichevole con il Pd e vede come fumo negli occhi l’alleanza con i suoi più agguerriti avversari in città. Ieri il Pd romano ha lanciato una campagna social durissima contro di lei: con  foto di piste ciclabili spaccate, cumuli di immondizia, buche nell’asfalto, autobus che vanno a fuoco. Scatti della vita quotidiana della Capitale, con lo slogan «Roma merita di più. Cambiamo sindaco». 

Il tavolo romano

È lo slogan che può accompagnare le primarie, almeno fino a che non ci sarà il nome del candidato, o della candidata. Sempreché si facciano davvero. Non c’è nessun dubbio su questo, spiega il segretario del Pd di Roma Andrea Casu. Che motiva il rinvio della riunione con ragioni ragionevoli, e che hanno a che vedere con la coalizione: «Dobbiamo varare il regolamento per le primarie e la carta d’intenti. Vogliamo fare una sintesi quanto più condivisa possibile e vogliamo tenere conto delle moltissime osservazioni che ci sono state inviate dalle varie forze della coalizione. Sono venti, fra partiti e realtà civiche, siamo una coalizione plurale, dobbiamo tenere conto della voce di tutti». Non c’è nessun ritardo, assicura: «Le primarie di Roma sono fissate per il 20 giugno. A Bologna si svolgeranno il 13 giugno, una settimana prima, e anche lì ancora il regolamento non è stato varato. Meglio fare bene che fare in fretta». Fra le questioni in ballo è il numero delle firme che ci vorranno per presentare il candidato o la candidata, la proposta è un numero fra le 2mila e le 3mila. Si segnala anche qualche resistenza sulle primarie per i candidati alla presidenza del municipio: «Ma noi le facciamo da tempo con ottimi risultati per tutta la coalizione», dice Casu, «Voglio tranquillizzare tutti quelli che pensano che siano un trucco per avvantaggiare i partiti organizzati: nelle ultime occasioni sono state proprio le candidature proposte dagli alleati a vincere». È successo nel 2018 al municipio VIII e III, dove  i candidati civici Amedeo Ciaccheri e Giovanni Caudo hanno avuto la meglio su quelli democratici (e poi, entrambi hanno vinto).

© Riproduzione riservata