Da avversario da battere nel parziale del primo turno, il candidato di centrodestra a Roma, Enrico Michetti, è stato travolto da Roberto Gualtieri. La sconfitta è sonora: il centrosinistra vince nella capitale con il 60 per cento e i venti punti di distacco pesano tutti su Michetti ma soprattutto sulla sua madrina politica, Giorgia Meloni.

Se il centrodestra aveva intuito già nei giorni scorsi la mala parata, la speranza era che non fosse così clamorosa. Invece le periferie hanno disertato le urne e a fare il resto, secondo la leader di Fratelli d’Italia, sarebbe stato il gioco sporco degli avversari che «hanno trasformato questa campagna elettorale in una specie di lotta nel fango» e «portato alla mobilitazione di un elettorato ideologico».

Il riferimento, anche se non esplicitato, è alle oltre centomila persone nella piazza antifascista convocata dalla Cgil nel sabato del silenzio elettorale, per rispondere all’assalto alla sede del sindacato da parte dei neofascisti di Forza Nuova avvenuta il sabato prima. Anche nella sconfitta, infatti, l’arma di Meloni rimane l’attacco: «Ci dica subito, oggi, la sinistra se intende continuare nella opera di criminalizzazione» ha detto, riferendosi a quello che ha vissuto come un attacco serrato e «con slogan da anni Settanta» contro Fratelli d’Italia, che avrebbe causato l’allontanamento di moltissimi elettori.

La bassa affluenza

E’ un dato, tuttavia, che a pesare sul ballottaggio sia stata la bassissima affluenza, con un calo quasi dell’8 per cento rispetto al primo turno. Nella Capitale ha votato solo il 40 per cento degli aventi diritto, il 10 per cento in meno rispetto al 2016 e la partecipazione più bassa di sempre da quando, nel 1993, è stata introdotta l'elezione diretta del sindaco. In numeri assoluti, infatti, Gualtieri vince con circa 560 mila voti (al primo turno ne aveva raccolti circa 300 mila) contro i 770 mila di Virginia Raggi nella scorsa tornata di amministrative.

Non a caso le prime parole del neo-eletto sindaco sono state per gli astenuti: «La capacità di ascolto e inclusione è la risposta al fenomeno dell'astensionismo, che ci addolora e che noi vogliamo lavorare perché si superi. A coloro che negli anni hanno maturato una sfiducia verso la buona e bella politica diciamo: non vi deluderemo».

La bassa affluenza è stata infatti la vera zavorra per Michetti: storicamente l’astensionismo premia il centrosinistra soprattutto ai ballottaggi. Inoltre, nel caso di Roma, a rimanere a casa sono stati soprattutto gli elettori delle periferie. Analizzando il voto nei municipi, la partecipazione ha retto in quelli del centro storico e di Roma nord dove Gualtieri era favorito, mentre è calata drasticamente in quelli più periferici dove Michetti aveva trovato il sostegno necessario per arrivare in testa al primo turno. 

L’immagine più emblematica, infatti, è la desolazione il comitato di Michetti nella periferia sud della città: in sede c’è solo il candidato sconfitto e nessuno dei leader nazionali che lo hanno sostenuto. «Abbiamo dato il massimo e in queste condizioni abbiamo fatto quello che si poteva», ha tagliato corto Michetti in una conferenza stampa lampo di appena 90 secondi, giusto il tempo di riconoscere la vittoria di Gualtieri e di auguragli «buon lavoro per per un incarico prestigioso e che si preannuncia comunque molto difficile». Poi ha preso la porta, rifiutando di rispondere alle domande dei giornalisti presenti.

La rabbia di Meloni

L’astensionismo è infatti l’elemento principale rivendicato da Meloni per giustificare l’esito amaro del voto che – nei pronostici di partenza – doveva riconsegnare Roma al centrodestra. Nel ringraziare il candidato (pur tenendosi ben lontana dal suo comitato, anche se si trova in una sede di Fratelli d’Italia) ha detto che «riconoscere la sconfitta non significa che è stata una debacle», perchè «Gualtieri è stato eletto con il 24 per cento dei voti e nessuno si deve rallegrare».

Tuttavia l’esito negativo per il centrodestra è talmente netto e soprattutto esteso a livello nazionale - dalla Capitale fino a Torino ma anche nei comuni medi come Latina e Varese - che anche Meloni ha ammesso la necessità di «una riflessione, a cui Fratelli d’Italia non si sottrae». Una riflessione che deve avere tempi brevissimi, tanto che la leader ha chiesto pubblicamente una riunione con Matteo Salvini e Silvio Berlusconi già in settimana.

A far infuriare Meloni sono soprattutto due elementi. Il primo ha riguardato la difficoltà nella scelta dei candidati, su cui «il centrodestra è arrivato tardi, soprattutto quando ha scelto candidati con un profilo civico e quindi meno conosciuti».

Il secondo, molto più profondo d soprattutto preoccupante nell’ottica delle prossime elezioni politiche, riguarda le differenti anime dentro il centrodestra: «Il tema di fondo che ci ha penalizzato è che i tre partiti del centrodestra hanno tre posizioni differenti», ha attaccato. Poi ha smorzato i toni spiegando che comunque la campagna elettorale è stata un momento di unità. La sintesi, però, rimane brutale: c’è «un problema di identità complessiva della coalizione e su questo bisogna lavorare da subito con un progetto».

Il centrosinistra vince

Dalla vittoria a Roma invece riparte il centrosinistra. L’ampio margine ha fatto gioire il segretario del Pd, Enrico Letta, ma l’avvertimento è arrivato sempre da Meloni: «Il Pd sta festeggiando sulle spoglie dei propri alleati grillini». Infatti proprio Roma è l’epicentro di una questione non ancora sciolta: se a livello nazionale l’alleanza è ormai consolidata e il capo politico Giuseppe Conte si era speso in un endorsement per Gualtieri al ballottaggio, la sindaca uscente Virginia Raggi non ha voluto saperne. Nonostante Gualtieri le abbia riconosciuto «il suo impegno» prendendosi il brusio della sua stessa piazza, il Movimento Capitolino non intende avvicinarsi ai dem e Conte ha dovuto certificare che al Campidoglio (come anche a Torino) i Cinque stelle saranno all’opposizione. Applausi nella piazza di Gulatieri invece per Carlo Calenda, che aveva annunciato il voto per il candidato dem e ha incassato anche l’apertura di Letta per un «campo largo del centrosinistra». Le future geometrie, però, si leggeranno già nella composizione della giunta capitolina.

 

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