Senatore Paolo Romani, lei è di Coraggio Italia: è nata questa “Italia al centro”, avete chiuso l'accordo con Renzi?

Stiamo parlando anche con Renzi, ma non abbiamo chiuso ancora nessun accordo.

Quel Renzi che attacca i giudici come Berlusconi?

Storie diverse. Da quello che dice Renzi c'è un accanimento contro di lui. Ma ha scelto dì attaccare frontalmente non tanto il sistema nel suo complesso ma i magistrati che lo accusano. E direi con qualche ragione.

Si torna al caro vecchio scontro fra politica e magistratura?

A me piacciono le parole che ha usato Mattarella in aula: serve una riforma del sistema giudiziario in Italia. E non possiamo far finta che non ci sia stato il "caso Palamara". Sono sempre con Montesquieu, i tre poteri restino separati. E c’è da definire meglio i perimetri.

Ma secondo lei porta bene lo scontro con i magistrati?

Lo scontro fra politica e magistratura c’è sempre stato, da Tangentopoli in poi. Ho una storia berlusconiana, abbiamo vissuto sulla pelle l’accanimento contro Berlusconi. E poi è stato scoperto il vaso di Pandora, quello che non funziona nella magistratura. C’è bisogno di una riforma, è una delle precondizioni per il Pnrr, e non solo per i tempi della giustizia ma per la riforma del sistema giudiziario. E ormai c’è l’imput forte del presidente del Csm. Senza caccia alle streghe.

Ci sarà un “nuovo centro” già alle amministrative?

Non lo so. Il sistema bipolare ha garantito l’alternanza. I cittadini sceglievano. Con l’arrivo dei Cinque stelle il sistema è diventato tripolare. Con il Rosatellum non sono più garantite maggioranze stabili, basta vedere questa legislatura. C’è bisogno di una legge elettorale diversa. L’unico momento di stabilità è il governo Draghi, ma è retto da una maggioranza mai vista. Menomale che c’è Mario Draghi. Ma non è l’esito finale della politica.

Voi siete per il proporzionale?

Il Rosatellum non può essere applicato al nuovo parlamento con il taglio dei parlamentari. Va cambiato. E visto che dobbiamo mettere mano alla legge elettorale, siamo per un sistema proporzionale. Oggi, finita o quasi l’esperienza di Fi, secondo i sondaggi il centrodestra vincerebbe. Ma sarebbe in grado di governare? Non credo. E neanche il Pd con i Cinque stelle. Abbiamo emergenze straordinarie di fronte: il Pnrr, l’inflazione, la crisi energetica, un patto di stabilità in Europa da ridefinire. Un approccio antieuropeista o iper-europeista o non qualificato rischia di non far partecipare l’Italia a una trattativa cruciale. Da qui nasce l’esigenza di un centro, un partito, un movimento, un rassemblement di contenuti e valori liberali, popolari e riformisti. Non dirò “moderati” perché non si capisce bene che significa.

Un centro che guarda a destra?

Il centro per definizione guarda al centro. E “Italia al centro” è una definizione di per sé: un raggruppamento per tutti coloro che non si sentono partecipi di una coalizione di destra o di sinistra.

Ma questo nuovo centro non nasce vecchio, cioè da politici, da Toti, a lei, a Renzi, con varie casacche alle spalle?

In politica tutto è vecchio e tutto è nuovo. Ma non sarà una riedizione di vecchie sigle e personalità. È un cantiere aperto e disponibile. Chi non è interessato farà altro.

Ce l’ha con Carlo Calenda? Non vi apprezza.

Calenda è autoreferenziale. Crede di essere il nuovo. Certo, ha fatto un eccellente risultato a Roma ma forse, con una chiacchierata in più, avremmo trovato il candidato di centro sul quale potevano convergere altre forze, visto che le candidature di destra di Milano e Roma erano deboli. Calenda non apprezza il nostro tentativo? Ma la politica cambia velocemente, magari domani lo apprezzerà.

Non la disturbano le relazioni pericolose di Renzi con un regime non precisamente liberale come l’Arabia?

Senta, gli americani sono grandi amici di Bin Salman, ogni tanto fanno gli schizzinosi con altri regimi arabi, non peggiori, ma non hanno mai messo in discussione l’alleanza. Quanto a Renzi con la sconfitta del referendum del 2016 ha preso una botta dalla quale fa fatica a riaversi. Ma è un talento naturale. Può darsi che abbia deciso che la politica non è l’unica cosa che vuole fare nella vita. Ma è un problema suo.

Berlusconi è ancora in campo?

Vengo da una storia berlusconiana, e vanto una storica amicizia con lui. Berlusconi è stato escluso dal parlamento il 25 novembre 2013 per una sentenza emessa da protagonisti dubbi, su cui la sinistra poi ha tenuto troppo silenzio. Eppure già nel gennaio 2014,Renzi lo chiamò a partecipare al Patto del Nazareno. Dopodiché è venuto giù tutto, e sulla rottura di quel patto ci sarebbe da scrivere un libro. Berlusconi ha creato il centrodestra, il criterio dell’alternanza è suo merito esclusivo. Ma oggi Forza Italia è minoritaria nella coalizione. E Berlusconi manca. Se ha ancora voglia di sperimentarsi, sono certo che la sua sensibilità è simile a quella che abbiamo noi.

Dopo la rielezione di Mattarella c’è un nuovo Draghi?

C'è da sempre un Draghi esemplare, che ascolta molto, ascolta tutti, recepisce, ma poi decide. Ha l'autorevolezza per non corrispondere sempre alle richieste dei partiti. E sta dimostrando che l'Italia può dare la risposta che l'Europa ci ha sempre chiesto. L'autorevolezza di Draghi è un salto di qualità per l’Italia.

Lei è del partito di Draghi oltre il 2023?

Se il paese dovesse avviarsi verso un rito proporzionale, sarà difficile avere chiare maggioranze. E una “riserva della Repubblica” come Draghi è bene tenerla in caldo. Anche perché l’Europa ha fatto un’enorme scommessa sull’Italia, ha messo a debito comune la somma più importante. Ci vorrà ancora Draghi dopo il ‘23? Può darsi.

M5S e Lega sono fattori di instabilità per il governo?

La Lega no, ha mostrato un principio di responsabilità importante, anche portando avanti le sue battaglie. Il M5s è un po' più difficile da decodificare: c'è una parte più razionale rappresentata da Di Maio, una parte più confusa, pasticciata, movimentista rappresentata da Conte.

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