La crisi ucraina ha messo in luce diverse fragilità del governo Draghi e della maggioranza che lo sostiene. La prima evidenza è la difficoltà di individuare una linea unica dei partiti che sostengono Draghi, che ha dovuto fare più volte i conti con i distinguo della Lega e le difficoltà interne che hanno avuto i Cinque stelle a condannare unanimemente l’invasione di Vladimir Putin. 

I problemi di Chigi

Ma al di là della debolezza strutturale della maggioranza, sia presidenza del Consiglio che Farnesina hanno collezionato passi falsi nelle ultime settimane. A partire dallo scarso tempismo del viaggio a Mosca programmato dal presidente del Consiglio proprio per il giorno in cui poi Putin ha deciso di mandare i carri armati oltre confine, oppure, appena qualche giorno prima, la scelta di annunciare che «le sanzioni devono essere efficaci e sostenibili, devono essere concentrate in settori che non comprendano l'energia». Annunciare la linea rossa da non oltrepassare nelle trattative con la Russia è, nel migliore dei casi, controproducente. 

Il parlamento è rimasto a lungo all’oscuro della linea del governo sulle tensioni in Europa dell’est: alla fine, l’informativa di Draghi in parlamento è arrivata solo il 25 febbraio, a invasione iniziata. Inizialmente, spiegano fonti parlamentari, dopo lo scoppio della guerra, il presidente del Consiglio aveva in mente di convocare soltanto una riunione dei capigruppo, una soluzione di profilo troppo basso anche per i partner di maggioranza.  

Draghi si è rivolto alle Camere con un discorso in cui tra le altre cose spiegava come non fosse riuscito a sentire telefonicamente il presidente ucraino «nascosto in qualche parte di Kiev», con cui aveva un appuntamento, «ma non è stato poi possibile fare la chiamata perché il presidente Zelensky non era più disponibile». Un passaggio che non aveva entusiasmato Zelensky: «La prossima volta proverò a organizzare l’agenda bellica in modo da riuscire a parlare con Mario Draghi a un orario preciso». 

Proprio in quelle ore era filtrata anche la contrarietà dell’Italia sull’esclusione della Russia dal sistema di pagamenti elettronici Swift. Una posizione spalleggiata soltanto dalla Germania e in aperta contrapposizione con le richieste di Zelensky: dopo un tentativo di recuperare la linea del ministro degli Esteri Luigi Di Maio («Non c’è alcun veto»), Draghi in una telefonata con Zelensky il 26 febbraio ha dovuto correggere di nuovo il tiro rassicurando il presidente sul fatto che «l’Italia appoggerebbe l’esclusione della Russia dallo Swift». 

Lunedì 28, Draghi ha saltato il videocollegamento che avrebbe dovuto metterlo virtualmente allo stesso tavolo del presidente francese Emmanuel Macron, del cancelliere tedesco Olaf Scholz e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, riuniti in presenza a Parigi. Ma per «problemi tecnici nel collegamento», l’appuntamento è saltato. 

Per avere invece informazioni più precise a proposito del decreto legge del governo sull’invio di armi all’Ucraina, il parlamento ha dovuto aspettare fino a martedì 1° marzo, mentre in altri paesi sono state convocate sedute straordinarie anche per il fine settimana. 

Le incertezze della Farnesina e le inziative di Salvini

Il governo non ha dato prova di una linea salda, ma anche il capo della Farnesina è apparso più volte in difficoltà. Come per esempio quando, nell’informativa del 23 febbraio al Senato, aveva annunciato la fine degli incontri bilaterali tra Roma e Mosca scatenando le proteste del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov: «Strana idea di diplomazia, quella che ha Roma. La diplomazia è stata inventata unicamente per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione. Non certo per i viaggi vuoti in giro per i Paesi ad assaggiare piatti esotici ai ricevimenti di gala».

Solo qualche giorno più tardi, intervistato a Di Martedì la settimana scorsa, il ministro ha detto: «Penso che tra Putin e qualsiasi animale ci sia un abisso, e sicuramente quello atroce è lui». Non esattamente la dichiarazione di un equilibrato diplomatico, tanto che perfino Lega e Fratelli d’Italia hanno chiesto di abbassare i toni. 

Come se non bastasse, il leader della Lega Matteo Salvini ha pensato di ritagliarsi una linea diplomatica tutta sua, sganciata da quella di palazzo Chigi e quella del ministero degli Esteri. Ieri è partito in gran segreto per raggiungere la Polonia. Una «visita non tradizionale», come la chiama la comunicazione della Lega, che ha evitato di diffondere l’agenda del viaggio, salvo poi dare notizia di un incontro con gli imprenditori italiani all’ambasciata italiana di Varsavia e un appuntamento con il nunzio apostolico in Polonia, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere la frontiera. 

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