La resa dei conti è fissata nell’aula del Senato, dove tutte le forze politiche attendono la scelta del Movimento 5 stelle. Se voterà a favore del decreto Aiuti, anche a costo di auto smentirsi rispetto al voto alla Camera, il governo si può salvare. Se invece i Cinque stelle non parteciperanno al voto, la crisi di governo rischia di essere più vicina. Certezze, però, non possono essercene fino a quando i parlamentari di Conte non scopriranno davvero le loro mosse. Per questo, nell’attesa di palazzo Madama, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha scelto di alzare i toni: nessun Draghi bis e, senza i Cinque stelle al governo, bisogna tornare al voto.

Le parole sono nette e in contrasto di quelle dell’alleato Silvio Berlusconi, secondo cui il governo ha i numeri per proseguire comunque fino a fine legislatura, anche senza i grillini. Salvini, però, sottolinea che la sua posizione intransigente non è una spallata al governo: «Io prendo per buone la parole del presidente del Consiglio che ha detto che non governa senza i Cinque stelle, se i Cinque stelle fanno una scelta, parola agli italiani». Tradotto: quella della Lega non è la posizione di chi vuole staccare la spina al governo, ma quella di un partito che prende atto e dà seguito alle parole del presidente del Consiglio. Del resto, anche il segretario del Pd, Enrico Letta, non ha usato parole e toni troppo diversi per mettere il M5s davanti al bivio di una scelta netta.

Dentro la Lega i sentimenti sono altalenanti: tra la base la paura del calo nei sondaggi dopo l’esito delle amministrative è ancora forte, mentre i parlamentari si sentono sempre poco considerati dal governo nelle loro istanze. Anche per questo, Salvini ha voluto attaccare l’esecutivo chiedendo interventi shock per le famiglie, anche con lo scostamento di bilancio e poi ha rilanciato le sue priorità: «Parliamo di lavoro, pensioni, cartelle esattoriali e sicurezza». La scaletta è stata concordata durante le riunioni con i suoi dirigenti tra Milano e Roma e adesso Salvini la sta ribadendo in ogni sede.

Fonti ministeriali allontanano l’ipotesi di una crisi di governo, ribadiscono che la mossa del centrodestra di chiedere una verifica sia servita a riportare nei ranghi i Cinque Stelle e che, al voto al Senato, l’esito potrebbe anche essere quello di una nuova frattura del Movimento. Se così fosse, si potrebbe anche prendere atto del fatto che solo una parte dei grillini si collochi fuori dal governo e si riaprirebbe la giostra dei gruppi parlamentari.

I governatori

A fare da controcanto alle dichiarazioni apparentemente nette di Salvini, però, ci sono i presidenti leghisti delle regioni del nord. Anche questa volta, e per la prima volta in modo così forte, su tematiche nazionali si è fatta sentire la voce del veneto Luca Zaia e del lombardo Attilio Fontana. Due pezzi da novanta nella galassia leghista, ma soprattutto rappresentativi delle due regioni che sono il bacino elettorale storico del partito, hanno chiesto che «il governo vada avanti».

La loro paura è che saltino gli investimenti strategici programmati, in vista dei prossimi mesi in cui dovrebbe ripartire la crescita economica. «In questo momento particolare c’è bisogno di un governo per prendere decisioni strategiche. Io spero che non ci siano motivi perché questo governo cada, perché entreremmo in un limbo pericoloso», ha detto Zaia, frenando la corsa alle elezioni lanciata dal suo segretario. Poi ha lanciato anche un avvertimento indiretto a Salvini, in cui si sente l’eco del timore di un nuovo Paapete: «Il ruolo della Lega è sempre quello di un partito di governo, con i suoi sindaci e governatori, e possiamo giocarcelo fino in fondo, abbiamo le nostre istanze a partire dall’autonomia». Sulla stessa linea è anche Fontana, secondo cui «questo governo può avere degli spazi per affrontare e risolvere le sue tante difficoltà».

Le parole di Zaia e Fontana hanno un peso evidente considerando il tempismo con cui sono state pronunciate: al termine di un incontro con Mario Draghi sulle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina del 2026. Evidentemente i toni del confronto con il premier hanno dato ai governatori ragioni di vera preoccupazione, tanto da decidere per un intervento così forte per bilanciare le parole di Salvini, manifestando il loro sostegno all’esecutivo.

L’iniziativa dei presidenti ha colto di sprovvista i vertici nazionali del partito e soprattutto il segretario, che dopo il giro di incontri sperava di aver trovato una sintesi con le sue fronde interne. Tuttavia, lo stesso Salvini sa che non è il momento di alzare i toni dentro la Lega e dunque la puntualizzazione, più che conciliante, è arrivata da fonti della segreteria di via Bellerio. «Ovviamente la Lega non si augura crisi o perdite di tempo, sono altri che stanno facendo e disfando», battono le agenzie. In sintesi: è tutta colpa dei Cinque stelle. Un motto, questo, che in ogni caso smetterà di essere valido dopo il voto al Senato, quando davvero sarà il momento della scelta tra stabilità o voto anticipato, nel caso in cui il Movimento si sfili.

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