La maggioranza spuria che sostiene Mario Draghi funziona solo se silente, quando non disturba il manovratore, ottenendo come contropartita l’approdo sicuro a fine legislatura e auspicabilmente fuori dalla crisi. Però, in questo silenzio, il rischio per i partiti è quello di incidere sempre meno nell’agenda di governo e di sparire anche agli occhi dei loro elettori.

Per questo chi ha più da perdere, come Matteo Salvini che aveva portato la Lega ad essere il primo partito italiano nei sondaggi, deve trovare un modo alternativo di gestire lo scontro. La strategia del leader, allora, è stata quella della strategia della tensione. In altre parole, di alzare il livello dello scontro interno quel tanto che serve a far intervenire Draghi per trovare una mediazione. Mediazione che si traduce spesso in una qualche concessione alla Lega in termini di politiche da mettere in campo e che Salvini può utilizzare come strumento di consenso, anche nell’ottica di contenere la pressione di Giorgia Meloni, che sta capitalizzando la sua posizione di opposizione.

Fisco

Uno dei campi più difficili, su cui la Lega ha cannoneggiato da subito il governo è quello del fisco. In particolare, sui condoni delle cartelle esattoriali contenuti nel decreto Sostegni. Era marzo e Salvini ha tenuto bloccato il consiglio dei ministri fino a che, di limatura in limatura, non si è arrivati a un compromesso che ha previsto il condono solo per i redditi inferiori ai 30 mila euro e fino al 2011. L’impuntatura della Lega, però, è servita a rimettere al centro le partite iva, che sono bacino elettorale del nord, e a rispolverare il tema della flat tax, che nei mesi successivi è stata sempre più spesso rilanciata da Salvini.

Riaperture

Anche nel caso del decreto Riaperture, la Lega ha scelto la linea del conflitto: in quel caso Salvini si era schierato per accorciare il coprifuoco e aveva addirittura indicato ai suoi ministri di astenersi in consiglio dei ministri. Anche in questo caso, l’obiettivo primario era quello di attestarsi come rappresentante di commercianti e ristoratori messi in difficoltà dal lockdown. Quello indiretto, invece, è stato quello di far percepire a Draghi la capacità leghista di agire compatta, nonostante ai tavoli che avevano preceduto il cdm avessero partecipato anche tutti i ministri leghisti che, che poi però si sono accodati all’indicazione di Salvini. Inoltre, è stato un modo laterale di colpire il ministro della Salute, Roberto Speranza, scelto dal leader della Lega come capro espiatorio di tutti gli effetti negativi del Covid sull’economia e l’impresa.

Migranti

L’altro bersaglio favorito da Salvini è la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Contro di lei la Lega è intervenuta in modo pesante e mirato sulla gestione migratoria e dell’ordine pubblico nel corso dell’estate, arrivando addirittura a minacciare velatamente una richiesta di dimissioni. L’argomento migratorio, che è stato per Salvini uno degli strumenti prediletti di costruzione del consenso, ha sicuramente perso forza di fronte alla pandemia ma si rianima ad ogni sbarco. Dal punto di vista sostanziale la ministra – tecnica anche se considerata di area giallorossa – ha modificato i decreti Sicurezza quel tanto necessario a renderli compatibili con le osservazioni del capo dello Stato ma lo scheletro delle leggi volute da Salvini è ancora in vigore. Eppure, dal punto di vista politico, gli attacchi hanno permesso a Salvini di ottenere un colloquio con Draghi e soprattutto di incassare l’apertura del premier a modifiche sulla linea politica in materia migratoria, anche alla luce del possibile drammatico esodo dei profughi afghani.

Green pass

L’ultimo argomento di polemica è stato il green pass e la sua estensione prima agli statali e poi probabilmente anche alle imprese. Anche in questo caso la Lega ha scelto la linea dell’opposizione, strizzando l’occhio come ormai fa da molti mesi a quella parte di popolazione ancora scettica oppure spaventata dai vaccini e contraria all’obbligatorietà della certificazione. Il leghista Claudio Borghi, infatti, ha votato in Commissione per la soppressione del green pass, animando un duro confronto con il Pd, che ha chiesto un chiarimento politico.

Anche in questo caso e come in quello della sfiducia a Lamorgese, Salvini si è affrettato a minimizzare i fatti, rilanciando però la richiesta di tamponi gratis per i non vaccinati. Eppure, il tracciato di fondo è sempre lo stesso: ben sapendo che Mario Draghi non si sarebbe fatto distrarre dalle beghe politiche ma avrebbe mantenuto dritta la linea del governo, Salvini ha scelto una posizione che strizza l’occhio ai dubbi sollevati da Fratelli d’Italia sul green pass. A rassicurarlo, infatti, è la certezza che Draghi sarebbe anche disposto a mettere la fiducia sul decreto pur di procedere con i tempi che si è fissato.

Anche in questo caso l’obiettivo rimane lo stesso: fingere opposizione e poi barattare i propri voti in cambio di uno spazio di manovra su provvedimenti su cui la Lega ha interesse a incidere. Nella fattispecie sulla revisione di Quota 100 prevista entro la fine dell’anno. La misura, infatti, non sarà rifinanziata dal governo e la conseguenza inaccettabile per la Lega sarebbe il ritorno dell’odiata legge Fornero. Quale sarà la soluzione sul piano delle pensioni è ancora impossibile dirlo, certo è che per Salvini sarebbe un duro colpo veder definitivamente spazzata via una delle misure che più lo hanno caratterizzato durante il governo Conte 1.

L’incognita, ora, è quanto spazio continuerà ad esserci per questa modalità d’azione della Lega. Draghi in conferenza stampa ha detto che «il governo va avanti» e «il chiarimento politico spetta alle forze politiche». Un modo per far capire che il gioco di Salvini è chiaro e che il premier non ha intenzione di prestarsi. Ma anche che il contrasto politico al Carroccio non spetta al governo, ma agli altri partiti di maggioranza cui spetta la battaglia per limitare le incursioni leghiste.

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