Il ministro dell’Interno è sotto attacco del fuoco amico dell’uomo di Musk in Italia, ma non solo. Non basta il ddl Sicurezza e l’impegno sul decreto Cutro: la poltrona del Viminale fa gola a troppi
Ci sono ministri sotto attacco delle opposizioni, che non corrono alcun rischio. I casi emblematici sono Daniela Santanchè, ministra del Turismo, e Carlo Nordio, ministro della Giustizia. Le mozioni di sfiducia, presentate alla Camera, sono armi politiche spuntate delle minoranze parlamentari.
Servono a fare un po’ di rumore mediatico e poco altro. C’è invece un altro ministro, quello dell’Interno Matteo Piantedosi, finito sotto il fuoco amico della maggioranza. Senza un apparente motivo, visto che non è stato rinviato a giudizio, come avvenuto a Santanchè; né si trova, pur coinvolto nella vicenda Almasri, al centro dello scontro con la Cpi, come nel caso del Guardasigilli Nordio.
I sondaggi di Stroppa
Eppure Fratelli d’Italia e la Lega hanno avviato un’operazione su più livelli per mettere sotto pressione il titolare del Viminale. L’esecutore materiale è Andrea Stroppa, emanazione italiana di Elon Musk, che ha fatto vari sondaggi su X per “bocciare” pubblicamente l’operato del ministro dell’Interno.
Se la prima volta si poteva azzardare l’ipotesi di un’idea dal sen fuggita, i due casi successivi hanno rappresentato altrettanti indizi che, notoriamente, fanno una prova. Il ministro ha voluto minimizzare: «Non ho tempo per seguirli».
Ma tre sondaggi in poche ore sono un messaggio preciso. Perché quello che scrive Stroppa è quello che pensa Musk. E Musk è un amico di palazzo Chigi e del governo in generale.
Ma perché mai è scattata la rappresaglia anti-Piantedosi? Le ragioni sono un crocevia di calcoli e interessi. Uno di questi è il tornaconto politico di Matteo Salvini. Non è un mistero che il leader della Lega accarezzi il sogno di rimettere piede al Viminale: dopo l’assoluzione nel processo di Palermo su Open Arms lo ha detto più volte in pubblico. Piantedosi, da uomo di fiducia, si è trasformato in un intralcio.
Salvini ha in testa un progetto politico: vuole usare il Viminale come postazione privilegiata della sua propaganda, tutta anti-immigrati e «porti chiusi». Così da provare a caratterizzarsi come l’interprete italiano del pensiero di Donald Trump, o comunque l’uomo dell’ultradestra con il pugno duro, che finora il suo ex capo di gabinetto non avrebbe usato. Almeno nella sua visione.
E dire che il ministro dell’Interno è pur sempre quello che ha firmato il disegno di legge Sicurezza, il provvedimento osteggiato dalle opposizioni e da una sfilza di associazioni.
Si tratta di una svolta securitaria bella e buona, che marchia a fuoco il credo di Piantedosi. Uno che, insomma, non è certo l’idolo delle folle della sinistra, né ambisce lontanamente a esserlo.
Nel suo bilancio personale c’è infatti il decreto Cutro. Il ministro ci ha messo la faccia, anche con il rischio di andare a sbattere nella difesa di un testo che, alla lunga, ha rivelato il suo volto molto propagandistico e poco efficace.
La caccia ai trafficanti in tutto il «globo terracqueo», copyright Meloni, esiste solo nelle intenzioni. E, parlando di trafficanti, sul caso-Almasri, il ministro non ha offerto sponde alle opposizioni. È rimasto ancorato alla (disastrosa) strategia del governo.
Certo, lo ha fatto con un profilo meno arrembante rispetto agli affondi – e agli svarioni – di Nordio: Piantedosi si è limitato a dire che il libico è stato allontanato perché ritenuto un «soggetto pericoloso». Tanto da attirare la domanda: ma come? Liberate una persona pericolosa?
Scontri di interessi
Alla destra assetata di radicalismo sembra non bastare la linea destrorsa di Piantedosi. Gli appetiti di Salvini sono voraci. Vuole salutare le Infrastrutture e i trasporti e staccare il biglietto in direzione Viminale. Negli ambienti governativi sono stati messi in giro gli spin comunicativi sulla possibile candidatura di Piantedosi alla presidenza della regione Campania.
L’indiscrezione è stata smentita dal diretto interessato. In questo ballo di interessi, l’unico vero sostegno arriva da Meloni, recalcitrante a qualsiasi idea di rimpasto. Lo spostamento di Piantedosi comporterebbe un effetto domino. Non si parla di un ministero qualunque, ma uno di quelli più istituzionali, sotto i riflettori del Quirinale.
Ma tra i motivi dell’offensiva contro-Piantedosi c’è proprio – paradossalmente – la benevolenza del Colle. Sergio Mattarella ha sempre gradito la sua nomina al Viminale. E la cosa non va molto giù ai big di palazzo Chigi: il presidente della Repubblica è visto spesso come un ostacolo.
Per Piantedosi c’è poi il problema dei rapporti con i principali esponenti dell’inner circle della premier. Il sottosegretario Alfredo Mantovano è in rotta con il ministro dell’Interno. Il delegato ai servizi non gradisce la presenza, in posizioni istituzionali, di uomini estranei alla storia della destra conservatrice erede della fiamma missina.
Ma nella lista degli avversari interni di Piantedosi è presente pure a Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, con cui di recente c’è stato uno screzio in Consiglio dei ministri sul mancato scioglimento del comune di Bari per infiltrazioni mafiose.
Le ruggini sono antiche: Lollobrigida non ha mai digerito che, a fine 2022, Piantedosi abbia firmato (tra i primi atti del mandato) lo scioglimento dei comuni del litorale romano di Anzio e Nettuno, governati dal centrodestra. Così studia la sua vendetta politica.
Un cortocircuito singolare. Mentre il governo fa scudo a un sottosegretario, Andrea Delmastro Delle Vedove, condannato in primo grado, Piantedosi diventa il nemico da contrastare.
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