Alla Camera il Piano di ripresa e resilienza passa senza patemi: 442 sì, 19 no e 51 astenuti. Ma per chiudere la seduta ci vogliono più di 50 votazioni. Gli ex grillini di L’alternativa fanno spacchettare la loro mozione in mille rivoli per attaccare, punto per punto, tutte le contraddizioni del Movimento 5 stelle. Mario Draghi replica l’appello alle forze politiche e, in controluce, alla sua maggioranza rissosa: «Il contributo del parlamento è solo all’inizio. Il Piano è articolato in progetti di investimento e riforme. L’accento sulle riforme è fondamentale. Senza, dispero di spendere bene tutti questi soldi, è difficilissimo già ora». Per non fare sgarbi alla Camera, il premier resta in aula fino all’ultimo voto. Il governo porta a casa il risultato, lo stesso succederà in serata a palazzo Madama. Ma nella maggioranza il clima è pesante. E per la Lega è una giornata nera. Sui salviniani piovono colpi da destra e da sinistra. Alla Camera i leghisti si spellano le mani per caricare il capogruppo Riccardo Molinari che deve respingere il gli attacchi: da una parte gli sfottò di Giorgia Meloni, dall’altra le punture di Debora Serracchiani al suo esordio da capogruppo Pd.

Rissa a destra

Salvini e Meloni non si parlano da tempo e non riescono neanche a discutere dei candidati per le comunali. I deputati di Fratelli d’Italia hanno passato la notte e la mattina a opporsi alla conversione del decreto che rinvia le amministrative. Sul Pnrr annunciano l’astensione. Perché «il parlamento è deriso e esautorato» e il tomone di 270 pagine è arrivato a due ore dalla convocazione dell’aula, e senza allegati. «Il ruolo dei parlamentari non è fare il pubblico pagato», attacca Giorgia Meloni, «un partito serio non vota un documento così imponente e importante con la formula del prendere o lasciare». Ragioni che durante il governo giallorosso la Lega aveva condiviso rumorosamente. Molinari alza i decibel per nascondere l’imbarazzo: «Noi, rappresentanti dei cittadini, siamo ben pagati per fare uno sforzo e leggere 300 pagine, scritte in grande con figure e interlinee in qualche ora».

Serracchiani espone la linea Pd: il piano «integra e completa» quello del governo Conte II che «chiudeva con le piccole patrie della precedente negativa stagione del governo» e cioè il Conte I, quello gialloverde. Molinari respinge tutto, giura che nel piano «ci sono segni di grande discontinuità». Ma Meloni ha gioco facile a insistere sulle crepe nella maggioranza: «È questa l’unità nazionale che ci decantate? Tutti uniti nel non contare nulla?».

In effetti la maggioranza vota unita ma si divide su tutto. E Draghi, che vorrebbe «uno spirito repubblicano», assiste allo scontro con espressione impenetrabile. Forza Italia, corteggiata dal Pd perché molli Salvini, rischia di finire stritolata. E allora si mette in mezzo, nega che ci sia «continuità» con il governo Conte II. E prova a sminare anche un altro pasticcio su cui la maggioranza boccheggia, quello sul coprifuoco. E invece la storia iniziata male finisce anche peggio: nel pomeriggio FdI deposita un ordine del giorno per cancellarlo. Fuori dal palazzo Salvini tuona e raccoglie le firme per allungarlo di un’ora. Meloni lo sfida: «Vedremo chi avrà il coraggio di sostenere in aula il nostro odg». Ma il leader leghista non può votarlo: «Se si apre o si chiude lo decide il governo, non gli odg», spiega. 

La manina

ASalvini arriva l’aiutino di Matteo Renzi, che vede come fumo negli occhi l’asse Pd-M5s. «La penso come Stefano Bonaccini», scrive nella sua eNews citando con malizia il presidente piddino dell’Emilia-Romagna, «è ovvio che vada rivisto il coprifuoco delle 22. Lo sanno tutti e privatamente lo dicono tutti», «dunque, nei prossimi giorni il coprifuoco andrà tolto o l’orario prolungato. Regalare questa battaglia a Salvini è un errore politico di quelle forze di maggioranza che, sognando, immaginano un Papeete 2», cioè «pensano che Salvini cada nel tranello e reagisca d’impulso, uscendo dalla maggioranza. Ma Salvini non ci pensa neppure, la lezione dell’estate 2019 gli è bastata e avanzata». Tensioni rientrate, Salvini ringrazia: «Ci sarà un ordine del giorno della maggioranza per rivedere le restrizioni già a maggio». Sarà così, la mozione parla del 17 maggio. Ma Lega e Forza italia non partecipano al voto del testo di Fdi. Un altro scossone alla maggioranza.

In quelle ore il Pd affronta il nodo ingarbugliato delle amministrative. Il segretario Enrico Letta e l’ex ministro Francesco Boccia incontrano i dem di Torino: lì non si trova un nome, la segreteria nazionale spinge per le primarie. Prima Letta ha incontrato Roberto Gualtieri, candidato in pectore a Roma. Il 20 maggio scade il termine per le candidature e ormai Nicola Zingaretti ha detto un no definitivo alla corsa. Fra mille incertezze Gualtieri si avvia ad affrontare i gazebo. La senatrice Monica Cirinnà potrebbe sfidarlo.

Quanto al duello con la Lega, dal Pd spiegano che «non c’è uno scontro Salvini-Letta. C’è Salvini che deve scegliere tra la piazza e Draghi». E la campagna contro il governo, per Letta, «va oltre la legittima e normale discussione politica». Il ministro Andrea Orlando su La7 paventa il rischio di finire come i governi Prodi: «Sono abbastanza grande da ricordare che i governi nei quali chi sta al governo poi partecipa anche alle manifestazioni contro il governo, non hanno vita molto facile».

Stamattina lo scontro fra Pd (e Leu) e la Lega si ripete al Senato sulle mozioni di sfiducia contro il ministro della Salute. La più insidiosa è quella di FdI. Roberto Speranza ha preparato una dettagliata autodifesa. Salvini deve dire no a una mozione che condivide. Il sottosegretario leghista Rossano Sasso fa spallucce: «Se stai all’opposizione puoi dire di essere figo e forte ma non sei incisivo. A fare i duri e puri ci si guadagna». A stare al governo si cala nei sondaggi. Salvini lo sa, ma voterà no. E non rompe con il governo: «La Lega c’è, se qualcuno pensa di buttarci fuori ha sbagliato», dice a sera al Senato. Ma apre subito un altro fronte: «Ora azzeriamo la normativa sugli appalti, sostituiamola con quella europea, vediamo che faranno i nostri compagni di avventura europeisti».

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