Matteo Salvini non accetta di essere scavalcato e, nel contrattaccare, ha incrinato due equilibri: pur di mostrare che nel centrodestra comanda lui, era disposto a far saltare l’emendamento che mette al sicuro Mediaset dall’attacco dei francesi di Vivendi; così facendo, però, ha anche fatto cadere ogni alibi al governo, che voleva far passare la norma che di fatto avvantaggia Silvio Berlusconi come difesa nazionale voluta all’unanimità da tutte le forze politiche.

«Quello della Lega è stato un attacco a freddo, inatteso e violento, che aumenta la frattura nel centrodestra. Ai tempi di Berlusconi non sarebbe mai successa una cosa del genere», dice un senatore di Forza Italia.

Facendo un passo indietro: l’emendamento assegna all'autorità per le Comunicazioni il potere di bloccare concentrazioni di proprietà «lesive del pluralismo». Il testo è stato concordato dal ministro dem Roberto Gualtieri e dal grillino Stefano Patuanelli insieme a Forza Italia e in concreto sbarra a Vivendi (primo azionista di Tim e con il 29 per cento di Mediaset) la strada per la scalata alle televisioni di Silvio Berlusconi, oltre a solidificare l’asse della maggioranza con Forza Italia.

L’emendamento avrebbe dovuto essere approvato senza intoppi in commissione Affari costituzionali, ma la Lega si è messa di traverso. A nessuno è sfuggito come l’azione sia stata freddamente premeditata dal maestro della tattica parlamentare Roberto Calderoli, che ha prima chiesto a sorpresa un termine per sub-emendare il testo proposto il giorno prima dalla maggioranza e poi, quando non gli è stato concesso, ha armato l’ex grillino passato alla Lega, Ugo Grassi, che ha sferrato un durissimo attacco verbale a Forza Italia e al suo ex partito, accusandoli di accordi sottobanco. «Grassi leggeva dal cellulare gli appunti per il suo intervento», racconta un senatore presente in commissione.

Poi, la Lega in solitaria ha votato contro l’emendamento e solo gli interventi dei parlamentari di lungo corso Renato Schifani e Maurizio Gasparri hanno fatto sì che non saltasse tutto, rassicurando la maggioranza sulla solidità dell’accordo. Dopo lo scontro sono cominciati i contatti tra Berlusconi e Salvini per evitare che la tensione arrivasse anche in aula al Senato, dove l’emendamento è stato infine approvato con l’astensione dei leghisti e un intervento dello stesso Salvini per stemperare i toni.

Dopo 24 ore, il clima rimane tesissimo. Dentro Forza Italia si è scelta la linea del silenzio – nessuno ha rilasciato dichiarazioni a caldo – ma quello della Lega è stato vissuto come un attacco a tradimento. «Salvini vive nelle trasmissioni di Mediaset, ma era disposto a farla affondare per un capriccio da lesa maestà», è stato il commento tra i senatori.

«Capriccio da lesa maestà»

La causa di tutto sarebbe il fatto di essersi sentito scavalcato dalle manovre del Cavaliere, che ha trovato convergenza con il governo su una norma “sovranista” che mette al sicuro i gioielli aziendali italiani dalle incursioni straniere, senza prima consultarlo. I senatori di Forza Italia sono pronti ad ammettere che ci sia stato un errore metodologico nel non avvertire il leader leghista prima del voto, ma aggiungono: «E’ stata una leggerezza in buona fede. E poi il governo era già deciso per quell’emendamento». Una leggerezza a cui Salvini ha risposto attaccando la sua stessa coalizione. «Poteva causare un guaio irreversibile: il governo avrebbe potuto anche ritirare l’emendamento» è l’accusa di Fi.

L’episodio è sintomo di un nervosismo dilagante in casa leghista. Salvini si sentirebbe minacciato dal ritrovato attivismo di Berlusconi, che sempre più spesso assume il ruolo di responsabile offrendo sponde alla maggioranza: l’ultima delle quali la richiesta – accolta dal Pd – di un doppio relatore per la legge di Bilancio. Una linea, questa, sposata anche da Fratelli d’Italia, che ha votato sì all’emendamento “anti-Vivendi”, mentre Giorgia Meloni si è detta disposta a ragionare di sinergie per la Finanziaria.

Il tridente di centrodestra, dunque, avrebbe assunto un nuovo assetto: Berlusconi dialogante col governo e Meloni – in continua crescita nei sondaggi – disposta a spalleggiarlo su singole misure pur di insidiare la leadership di Salvini.

La ferita dello scontro non si rimarginerà facilmente, ma potrebbe compattare Fi: anche i “salviniani” eletti al nord grazie alla Lega hanno vissuto male lo sgarbo e potrebbero riavvicinarsi ai “responsabili”. E uno di loro si spinge oltre: «Uno smarcamento ora dalla coalizione non è possibile, ma in futuro chissà».

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