Il provvedimento esaminato dal Senato mette briciole a disposizione della sanità pubblica. Brindano solo le strutture accreditate: arrivano 185 milioni di euro in due anni dalle regioni
Una manciata di milioni di euro da mettere sul tavolo della propaganda e una sfilza di misure organizzative per regolamentare le liste d’attesa.
Ma senza interventi realmente risolutivi. Il disegno di legge “prestazioni sanitarie”, approvato al Senato, rende davvero felici solo gli imprenditori della sanità privata, ben rappresentati a destra a cominciare dal deputato della Lega, Antonio Angelucci.
Il settore privato beneficia infatti di 184,5 milioni di euro, tra il 2025 e il 2026, da attingere dai bilanci delle regioni. Soldi necessari per l’acquisto di prestazioni sanitarie dalle strutture accreditate.
Nessuna rivoluzione, dunque. Il governo Meloni non ha voluto mettere risorse. Ha pensato a una riforma a costo zero sulla sanità pubblica. A poco è servito lo sforzo del ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha messo la firma sul provvedimento.
Ci sono pochi stanziamenti effettivi di fondi: uno è da 100 milioni di euro per aumentare (a 100 euro all’ora) la tariffa per prestazioni extra degli specialisti ambulatoriali (con tassazione agevolata al 15 per cento).
Mentre per l’anno in corso saranno stanziati 3 milioni di euro per quello che è stato denominato «fondo per accessi impropri al pronto soccorso». Lo scopo è la riduzione degli accessi impropri al pronto soccorso. Solo che per abbattere le liste d’attesa bisogna assumere personale, non aggiungere ore agli specializzandi.
Decreti e rinvii
La spesa servirà per l’acquisto di soluzioni digitali – per esempio gestione di appuntamenti e televisite – per medici di medicina generale e pediatri. Il provvedimento, poi, rimanda l’applicazione di alcune disposizioni all’emanazione di decreti attuativi: se ne contano sette.
Tra questi c’è il testo che il ministero della Salute deve preparare per definire «le modalità di funzionamento e la composizione dell’osservatorio nazionale sulle liste di attesa», un nuovo organismo con all’interno rappresentanti del dicastero della Salute, della Conferenza stato regioni e delle organizzazioni civiche di tutela della salute per analizzare le problematiche.
L’obiettivo principale, annunciato dal governo, sarebbe quello di introdurre misure per garantire l’erogazione tempestiva delle prestazioni sanitarie e ridurre le liste d’attesa. Schillaci aveva fatto approvare, sulle liste d’attesa, un decreto nell’estate del 2024 e ha rimandato a un ddl governativo per affrontare con profondità la questione.
Il risultato è che, per la piena attuazione della misura risalente dello scorso anno, servono ancora 3 provvedimenti attuativi sui 6 previsti. Si attende la «definizione della metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del Ssn».
Pecche che vengono evidenziate dalle opposizioni: «Questo ddl sconta esattamente gli stessi problemi del decreto approvato lo scorso anno. Nessuna visione sul futuro della sanità pubblica, zero programmazione e soprattutto zero risorse», spiega a Domani la senatrice del Pd, Ylenia Zambito.
Il nodo è sempre lo stesso: le risorse economiche mancanti. Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, punta il dito contro la scarsa dotazione a disposizione del disegno di legge prestazioni sanitarie: «Le misure per ridurre la domanda inappropriata sono assenti, con l’eccezione di un esiguo fondo da 3 milioni di euro destinato a contenere gli accessi impropri al pronto soccorso».
Sul fronte dell’offerta, invece, «si punta su specialisti convenzionati, privato accreditato e soprattutto contratti flessibili che, di fatto, alimentano il fenomeno dei gettonisti. Confermando che è contrastato solo a parole», aggiunge Cartabellotta.
Attesa delusa
Il provvedimento voluto dalla maggioranza, nel dettaglio, prevede l’istituzione di un Sistema nazionale di governo delle liste di attesa per coordinare l’introduzione di incentivi economici per il personale sanitario. Introduce, inoltre, la possibilità per le regioni di destinare risorse aggiuntive alla contrattazione collettiva integrativa e privilegia le specialità mediche più carenti o con condizioni di lavoro più disagiate.
Le altre misure, sempre a costo zero, sono relative all’abolizione del tetto di spesa per il personale a partire da gennaio 2025 e i premi per le regioni virtuose, anche queste da definire con decreto attuativo. Infine, è stata istituita una piattaforma nazionale per la gestione delle liste d’attesa gestita da Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari Regionali, che ancora non ha eletto i nuovi vertici, come raccontato da Domani.
Due emendamenti che puntavano a rafforzare gli stanziamenti, invece, sono stati bocciati in commissione a palazzo Madama. Il primo puntava ad assegnare fondi alle regioni sulle prestazioni aggiuntive: 61,5 milioni di euro per il 2025 e 123 milioni di euro all’anno dal 2026. La seconda proposta, respinta in aula, riguardava l’aumento delle risorse ai Cup (Centro unico prenotazioni).
Insomma, le criticità abbondano. «Le aspettative erano molte alte su questo ddl, perché le liste d’attesa sono la vera emergenza del paese. E invece? si aumenta addirittura l’extra budget per le prestazioni fuori regione, favorendo la mobilità passiva. Una sanità modello-Trump in cui bisogna andare in ospedale con la carta di credito», afferma Mariolina Castellone (M5s), vicepresidente del Senato. «C’è solo tutto ciò che occorre per realizzare il modello di sanità fondata sui privati», incalza.
Una festa per il privato, insomma. A dispetto delle opposizioni che denunciano provvedimenti sulla sanità che sono scatole vuote. Mentre il sistema sanitario nazionale arranca sempre più con investimenti al minimo.
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