Il Quirinale è il colle più alto e da lì si indirizza e si controlla tutta la politica. Però è una casella difficile da riempire, perchè per eleggere il presidente della Repubblica serve la convergenza della maggioranza assoluta del parlamento. I sette anni di mandato di Sergio Mattarella scadono a febbraio 2022: il prossimo capo dello Stato verrà eletto quasi certamente dall’attuale parlamento in seduta comune (non ci sono crisi di governo all’orizzonte) e dunque un punto di incontro andrà cercato tra i suoi componenti principali: Movimento 5 Stelle e Partito democratico attualmente al governo e Lega, all’opposizione.

A poco più di un anno dal voto, alcuni nomi già stanno prendendo posto sullo scacchiere: è un’avanzata a piccoli passi verso il semestre bianco, i sei mesi nei quali le camere non potranno essere sciolte.

Le mosse di Sassoli

L’ultimo ingresso nel totonomi è quello del presidente del parlamento europeo, il democratico David Sassoli. Il potente eurodeputato si è fatto notare per un’iniziativa inattesa: la proposta di abolire i debiti italiani legati alla pandemia.

«Nella riforma del patto di stabilità dovremo concentrarci sull'evoluzione a medio termine di deficit e spesa pubblica in condizioni di crisi e non solo ossessivamente sul debito», ha spiegato, marcando anche un accento scettico sul Mes: «Per renderlo utile serve discontinuità: è necessario riformarlo e renderlo uno strumento comunitario, non più intergovernativo».

Le sue parole hanno fatto fare un balzo sulla sedia al segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, tanto quanto sono piaciute al Movimento 5 Stelle, contrario al Mes, e agli euroscettici Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che hanno subito cavalcato la proposta di cancellazione dei debiti.

L’intento potrebbe essere quello di accreditarsi agli occhi esterni, anche a costo di scontentare i vertici del suo partito da cui Sassoli sarebbe diviso da una divergenza di interessi. Zingaretti – che è intervenuto con fastidio per smorzare le parole di Sassoli – lo vorrebbe candidato a sindaco di Roma e non certo al Colle, ma il presidente non ha alcuna intenzione di lasciare Strasburgo prima del tempo. Un tempo che finirà esattamente nel dicembre 2021.

LaPresse

La speranza di Casellati

Sul fronte del centrodestra, la felpata presidente del Senato Elisabetta Casellati sta giocando una partita tutta personale. Eletta in quota Forza Italia, è stata ben attenta a ritagliarsi un profilo istituzionale a se stante e a tenersi fuori dagli attuali scontri che incendiano la sua coalizione.

Da Palazzo Madama si è costruita un profilo istituzionale autonomo, facendo leva su due punti di forza che sono merce pregiata in questa fase politica: la collocazione al centro che facilita le convergenze e l’essere donna, con il conseguente appeal politico di poter essere la prima eletta al Quirinale.

Proprio in quest’ottica, Casellati ha tessuto una tela di fiducia con il Movimento 5 Stelle e in particolare con il collega della Camera, Roberto Fico, culminato in settimana con un inedito incontro con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio

«Un normale incontro istituzionale», si sono premurati di specificare tutti. Eppure si tratta del primo in assoluto, da quando è stata eletta. A tavola si sarebbe parlato non solo del possibile avvicinamento di Forza Italia alla maggioranza, ma anche dell’elezione del capo dello Stato. Difficile immaginare che i grillini possano individuare nell’avvocata veneta di strettissima fede berlusconiana fin dal 1994 la loro candidata ideale. Però la politica è l’arte della mediazione.

Silvio Berlusconi (Foto: Apn)

C'è anche Berlusconi

Anche Silvio Berlusconi non rimane a guardare. I suoi avvicinamenti alla maggioranza, che pur gli stanno provocando più di un problema interno al centrodestra e forse il definitivo sabotaggio dell’emendamento salva Mediaset da parte della Lega, punterebbero a sedersi al tavolo delle trattative per il Colle.

La pratica è ovviamente in mano al fido Gianni Letta, da sempre abile curatore degli interessi di Arcore. Berlusconi ha sempre accarezzato l’idea di essere ricordato come un padre nobile della politica, una sorta di riabilitazione dopo gli anni dei processi e degli attacchi mediatici.

Sa che l’obiettivo è quasi impossibile da centrare. Però, sa anche che i numeri del parlamento in seduta comune con voto segreto sono infidi e che il suo apporto potrebbe essere essenziale. In quest’ottica si muove: ha accolto l’invito di Sergio Mattarella alla responsabilità, ha offerto la mano alla maggioranza e ha incassato la sponda del Partito democratico.

Tutto il resto è da costruire, ma dall’elezione del nuovo capo dello Stato dipende la piega della legislatura successiva – la prima con il taglio dei parlamentari – e la partita va giocata fino in fondo.

Giuseppe Conte (Foto: LaPresse)

Le mire di Conte 

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è stato l’uomo giusto per tutte le stagioni. Dal nulla è salito a Palazzo Chigi, riuscendo nell’impresa di guidare due governi di segno opposto e di farsi dare fiducia da tutti e tre i principali partiti in parlamento: prima il Movimento 5 Stelle e la Lega, poi anche dal Pd.

Il suo nome è stato proposto dai grillini ma Conte è stato abile a smarcarsi, attento a non venir trascinato nel calderone dei big Cinque Stelle in perenne scontro tra loro. Sa di essere amato dalla base e di essere ancora il nome più spendibile per il Movimento in crisi di identità, ma in questi mesi ha lavorato per costruire un’asse solida con il Pd, professandosi «elettore del centrosinistra».

Forte del suo rapporto diretto con Mattarella e scettico all’idea di crearsi un partito autonomo (gli esempi di Mario Monti e Matteo Renzi sono freschi nella memoria), per lui il Quirinale sarebbe il buen retiro ideale a conclusione della legislatura. Per la terza volta, potrebbe essere l’uomo giusto al momento giusto.

Walter Veltroni (Foto: LaPresse)

Chi lavora nell’ombra

A non essere ancora usciti allo scoperto, infine, sono i quirinabili da sempre che affollano le fila del centrosinistra. I nomi sono gli stessi di sempre: Romano Prodi, Walter Veltroni e Dario Franceschini

A Prodi ancora bruciano i 101 franchi tiratori e accettare di correre di nuovo sarebbe un azzardo: eppure il Colle val bene la sfida, soprattutto quando i concorrenti hanno profili molto meno istituzionali del suo. Lo stesso Veltroni continua a muoversi nei salotti romani, firma articoli per il Corriere della Sera e affina il profilo che più gli calza a pennello: quello dell’intellettuale idealista che piace anche al Vaticano.

Sulla carta, Franceschini sarebbe il meglio piazzato: silenzioso ministro della cultura, è però il grande manovratore delle operazioni di palazzo che hanno salvato l’attuale governo dalla crisi, tanto che nulla accade senza il suo consenso. È l’interlocutore che tutti cercano, quello che parla meno in pubblico ma risolve nel privato: arte ereditata dalla scuola democristiana, la stessa del presidente Mattarella. Che gli ha insegnato anche ad aspettare e capire quando i tempi sono maturi.

 

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