Nelle ore in cui ha promesso di definire «gli assetti» del nuovo Pd, Elly Schlein inaugura un lunghissimo tour delle amministrative, che durerà fino alle soglie dell’estate. Oggi Stefano Bonaccini torna dalla sua visita istituzionale, da presidente dell’Emilia-Romagna, in Texas. Subito, forse già domani, i due si sentiranno per chiudere gli accordi sulla nuova segreteria e sugli uffici di presidenza dei gruppi di camera e senato, al cui capo sono stati eletti Chiara Braga e Francesco Boccia (dovrebbero essere definiti la prossima settimana).

Ma intanto ieri Schlein è andata a Trieste e a Udine. Domenica e lunedì il Friuli-Venezia Giulia vota per le regionali, e Udine si rinnova anche il comune. Da qui ha chiesto al governo «di riferire in aula sullo stato di attuazione del Pnrr». Da qui ha inizio la sua prima campagna elettorale da segretaria, che durerà fino a fine giugno. 

Ieri è andata a sostenere Massimo Moretuzzo, il candidato autonomista che ha riunito un centrosinistra largo (M5s, Alleanza Verdi e Sinistra, Slovenska Skupnost, Open Sinistra Fvg) nella sfida proibitiva contro il leghista Massimiliano Fedriga. Moretuzzo promette di «fare di tutto per far vincere l’improbabile» ma il presidente in carica, che oggi sarà a Udine con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, non è preoccupato dagli avversari: nella destra la sfida è tutta interna, fra la Lega in caduta di consensi e FdI in irresistibile ascesa.

Schlein ha spiegato il suo metodo: «In ogni posto noi ragioneremo così: non faremo alleanze a tavolino, a scatola chiusa o tra gruppi dirigenti, ma cercheremo di trovare insieme punti di convergenza che possano migliorare la qualità della vita delle persone e del pianeta».

Inizia dunque così, con molte incertezze, la serie degli appuntamenti elettorali che precedono le europee della primavera 2024, la prova del nove per la nuova segretaria. Fino a quell’appuntamento lei sa di poter contare su una certa pax interna. Una certa, non proprio completa: dalla minoranza arrivano avvisi di disimpegno. Dopo l’ex senatore Andrea Marcucci, che ha annunciato l’intenzione di guardare al fronte di Renzi e Calenda, ieri l’ex deputata Alessia Morani ha messo in guardia contro il rischio «che un pezzo dell’elettorato se ne vada senza fare rumore». E Carlo Cottarelli ha ammesso di sentirsi «più anomalo di prima».

Le amministrative non si annunciano come una messe di successi. Dopo il Friuli, il 14 e 15 maggio si vota in 598 comuni (gli eventuali ballottaggi saranno il 28 e 29 maggio), il 21 in tre comuni del Trentino-Alto Adige ed in uno della Valle d’Aosta, il 28 e 29 maggio toccherà a 39 comuni della Sardegna e 128 della Sicilia. A giugno, il 25 e il 26, vota invece la regione Molise, solidamente nelle mani della destra.

Schlein eredita corse già avviate dal suo predecessore Enrico Letta. Degli accordi, città per città, si è occupato fin qui proprio Francesco Boccia, oggi presidente dei senatori ma fin qui responsabile degli enti locali. Boccia resta il dirigente dem che ha i rapporti più cordiali con Giuseppe Conte, di cui è stato ministro. Grazie a questo, qualche alleanza è arrivata: a Brindisi, Teramo, Catania e Pisa.

Anche Ancona a rischio

Ma sulle altre città pesa la scelta competitiva del presidente dei Cinque stelle: nel voto locale il Movimento non ha nulla da perdere, quindi eviterà di regalare voti e successi al Pd, diventato troppo insidioso con una segretaria che guarda a sinistra e che è naturalmente attrattiva per l’elettorato ambientalista. Da qui alle europee questa sarà l’antifona, salvo casi particolari.

Niente accordi dunque ad Ancona per le urne di metà maggio. Il capoluogo della regione retta da Francesco Acquaroli, considerata il «laboratorio» di FdI, rischia di non restare al centrosinistra. La sindaca Valeria Mancinelli chiude il suo secondo mandato, le primarie hanno indicato come candidata la sua assessora Ida Simonella. Il M5s invece andrà per conto suo. La destra punta su Daniele Silvetti, in campo già da settimane. Niente accordi a sinistra neanche in altre città: non a Vicenza, Treviso, Sondrio, Imperia, Massa, Ragusa, Siena, governate fin qui dal centrodestra; né a Brescia e Trapani, governate dal centrosinistra.

Per il Pd si prospetta dunque una mezza via crucis. E anche per la sua segretaria, che farà fatica a raccogliere risultati positivi per la coalizione, e dovrà puntare a far pesare nelle urne almeno l’effetto della svolta. Il contrario, almeno nei pronostici, di quello che era successo a Letta, che prima della sconfitta nera delle politiche del 25 settembre 2022 e delle regionali di Lazio e Lombardia, aveva invece mietuto importanti vittorie in città-simbolo (Roma, Bologna, Torino, Napoli).

Rottura nel Lazio

Gli effetti della vittoria di Schlein alle primarie si fanno sentire anche dall’altro lato degli alleabili. Dal palco del congresso Cgil a Rimini Carlo Calenda ha annunciato che il Terzo Polo non farà alleanze politiche con il nuovo Pd. Ma le conseguenze si vedono da subito, anche a livello locale. Persino nel Lazio dove il leader di Azione è stato il primo sostenitore del candidato Pd Alessio D’Amato.

Un conflitto sui posti riservati all’opposizione, che il Pd ha tenuto per sé tranne uno «ceduto» al M5s, ha fatto scatenare i consiglieri terzopolisti: «Il Pd ha deciso di arraffare tutto quello che poteva prendendosi la responsabilità di rompere la coalizione» è l’accusa del renziano Luciano Nobili. La minaccia è quella di disertare le alleanze delle amministrative.

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