Se i malumori esondano dai retroscena e entrano nelle cronache in chiaro – ed è già una novità assoluta nel Pd dell’unanimismo bulgaro fino al giorno in cui come il sole all’improvviso il segretario salta – vuol dire che per Elly Schlein è arrivata già l’ora della verità. Prima di quanto nessuno immaginasse. E l’ora della verità è la direzione di lunedì prossimo.

Il “declassamento” di Piero De Luca, retrocesso da vicepresidente a segretario del gruppo dei deputati dem, ha fatto da innesco. Ieri suo padre Vincenzo, vero obiettivo dello «scalpo politico» (copy Lorenzo Guerini), ha scoccato la battutaccia: «Non c’è nulla di più volgare dei radical chic senza chic». Ce l’ha con Schlein.

La quale al posto di Piero ha voluto Paolo Ciani, di Demos, pacifista della comunità Sant’Egidio. Che ha subito spiegato a Repubblica che non è del Pd, è «contrario all’invio di armi» e che «il Pd può cambiare linea»: sequenza frutto delle atmosfere surreali di un partito in cui la “capa” dice no all’uso del Pnrr per le munizioni ma il gruppo di Bruxelles vota sì. Replica l’eurodeputata Pina Picierno: «Grande confusione sotto il cielo. Una cosa però mi pare importante ribadirla: il sostegno del Pd alla resistenza ucraina non cambia e non cambierà».

Alla fine Schlein ha dovuto correggere Ciani: «Affermazioni a nome del suo partito, Demos». Vero, grande è la confusione sotto il cielo dem, ma la situazione non è eccellente. Anzi. Nei conversari riservati circola la convinzione che lunedì «o lei dice la verità» su come vuole guidare il Pd; o partono gli Scud; o, più probabile ancora, parlano le terze file e non si discute di nulla.

La terza ipotesi è devastante: significherebbe che il gruppo dirigente si è rassegnato ad aspettare che passi la piena. La piena Schlein. Gli amici consigliano di mettere contenuti nella relazione. Andrea Orlando, ieri al senato, parlando di America: «Si può coniugare una visione radicale con il pragmatismo». Sembrava per lei. Poi c’è la comunicazione social: lì lei è rimasta tale e quale a quando non era segretaria. E non aiuta l’autorevolezza.

Quelli che non l’hanno votata si aspettano che chiarisca le indiscrezioni sulle europee: «Non è la stessa cosa fare capolista Paolo Gentiloni o Laura Boldrini», dice uno, e un altro «fin qui ci siamo detti che le europee andranno bene, se andiamo avanti così tanto bene non andranno». Insomma se prima era tutto un «ha bisogno di tempo», ora sembra che il tempo sprecato sia già troppo.

Oggi Schlein terrà una conferenza stampa sul femminicidio. Bene. Per lunedì, perché il dibattito non si concentri troppo sull’analisi della sconfitta, tema divisivo, potrebbe proporre una cabina di regia per le europee, per dimostrare che non «ballerà da sola».

Tema alleanze: in tv ha offerto un incontro a Giuseppe Conte, martedì in aula a Montecitorio si è avvicinata ai banchi dei rossoverdi Fratoianni e Bonelli: «Sentiamoci, sentiamoci», captato dagli scranni vicini. Ma se invece lunedì la segretaria «fa la furbetta», quella che vola alto senza planare a terra, la platea sarà presa dalla rassegnazione.

Che è anticamera del lavorìo ostile. L’avviso di burrasca, a onor del vero, non è stato diramato. «Ognuno sentirà la relazione e poi parteciperà al dibattito sulla base di ciò che sentirà», dice serafico Guerini, uno di quelli che hanno messo in chiaro il dissenso sull’operazione De Luca.

Ma è pur vero che «non si annuncia mai la data della controffensiva», chiosa una deputata con un know how ucraino. «Stacchiamo facebook e menamose», scherza romaneggiando il collega Claudio Mancini, «ma poi diamoci una linea che ci unisce». Resta comunque l’annuncio di «resistenza democratica» di Piero De Luca, postato a caldo dopo il declassamento. Formula eccessiva, persino un po’ grottesca. Ma è difficile che non sia stata concordata con gli amici riformisti che lo hanno difeso.

© Riproduzione riservata