Taruffi: «Dobbiamo fare di più, ma Meloni ha paura e cambia il Rosatellum»

Le due sconfitte del centrosinistra, nelle Marche e quella in Calabria, hanno due spiegazioni diverse, sostiene Igor Taruffi, responsabile dell’organizzazione Pd e braccio destro di Elly Schlein: «Nelle Marche l’anno scorso 4 capoluoghi di provincia su 5 erano stati vinti della destra, c’era il presidente uscente, c’è stata l’inchiesta su Matteo Ricci. In quel contesto, se guardiamo ai numeri, il risultato del Pd e della lista Ricci, dov’erano molti candidati vicini al Pd, è il 29 per cento. Non è bastato a vincere, ma segnala una ripresa. In Calabria siamo stati precipitati al voto per una scelta del presidente Occhiuto, in condizioni ancora più complicate: partivamo dal 27 per cento della candidata Amalia Bruni. Siamo arrivati al 41 con Pasquale Tridico. E il Pd ha preso, con i Democratici e progressisti, 140mila voti, dai 100mila del 2021. È chiaro, sono due sconfitte. Ma senza l’alleanza, non avremmo neanche potuto giocare la partita. A fine anno, fra il 2024 e il 2025 saranno andate al voto 13 regioni: partivamo da 9 a 4 per la destra, se il risultato sarà, per esempio, 7 a 6, ci sarà stato un recupero». È vero, la sconfitta in Calabria c’è stata, ma è un errore drammatizzarla La notizia che la coalizione non c’è o perde è sopravvalutata? La coalizione c’è. Dobbiamo lavorare ancora per darle un profilo più chiaro e risolvere alcuni nodi, ma c’è e risultati ne ha già portati, in Umbria e in Sardegna. Se la destra scoppia di salute, non si capisce perché Meloni vuole cambiare la legge elettorale cancellando i collegi uninominali: quelli che nel 2022 hanno le consegnato la larga maggioranza di cui gode oggi la destra. Se il centrosinistra fosse così inadeguato, la destra non si porrebbe il tema. Aspettiamo i risultati di Toscana, Campania e Puglia. I numeri dimostreranno che con l’attuale legge il risultato delle politiche sarebbe ben diverso da quello del 2022. Meloni vuole l’indicazione del premier sulla scheda. Sarà un guaio per voi, come lo affronterete? Aspettiamo la legge, se arriva. Dopodiché l’affronteremo. Però il problema di fondo è un governo che in tre anni non ha fatto una riforma economico-sociale o di politica industriale. Sta varando una finanziaria con una previsione di crescita dello 0,1 per cento. Campa con i soldi del Pnrr, e se fosse stato per FdI non ci sarebbero. Questi sono i temi sui quali misurarci. Per i vostri alleati Conte e Avs «bisogna ripensare qualcosa». A cosa si riferiscono? Quando si perde non va tutto bene. Ma la strada è quella giusta. Su molti temi abbiamo fatto proposte comuni, dal lavoro alla sanità. È chiaro che dobbiamo essere capaci di un progetto per il paese, comune e condiviso. Fin qui abbiamo lavorato molto per costruire l’alleanza che oggi si presenta unita dal Veneto alla Calabria. Da qui al prossimo anno e mezzo dovremo darci un profilo e elementi di fondo ancora più evidenti. La coalizione però ha già le carte in regola per vincere le elezioni. I cattolici e i moderati del Pd dicono che trascurate gli elettori di centro. Radicalizzare paga? Chiedo di valutare le elezioni degli ultimi 10 anni: nel 2018 i Cinque stelle presero oltre il 30 per cento con una piattaforma certo non moderata, lo stesso la Lega l’anno dopo, e Meloni nel 2022. Nel 2022 il Pd di Letta si è presentato con un profilo moderato, non è andato bene. Il profilo di chi ha vinto le politiche nelle ultime tornate non era moderato. Nessuno si ricorda più Scelta civica di Monti: nel 2018 ottenne poco meno del 10 per cento. Ma se mi chiede se serve un’alleanza larga, certo che serve. Servono proposte credibili che riportino a votare i tanti che sono rimasti a casa. Una parte dei dirigenti Pd dice che serve un messaggio più «inclusivo». Il Pd di Schlein esclude? Non mi pare. La preoccupazione principale resta essere in grado di cambiare la vita delle persone. Le formule vengono dopo. Dei tanti astenuti, una parte considerevole ha un reddito inferiore a 20mila euro l’anno. È chiaro a tutti cosa significa? I dissensi dell’area riformista del Pd saranno ascoltati? Tutto si può dire al Pd tranne che non discuta. In una direzione dopo mesi, e in piena campagna elettorale? Ci saranno i tempi e i modi per fare tutto, penso sia opportuno aspettare la fine delle regionali. Per fare conti complessivi. La coalizione non è stata lanciata. Chi frena, Conte? Dall’altra parte c’è un’alleanza da trent’anni. Di qua si misurano forze che tre anni fa si sono divise in modo rovinoso. Stiamo recuperando. Se oggi fossimo come allora, non potremmo contendere nulla. La politica può solo imparare dal partito dell’astensionismo Il M5s paga la trasformazione in vostro alleato? ll M5s a livello nazionale è molto importante per costruire l’alternativa. Il percorso che ha fatto è serio, e impegnativo. Nel nostro essere «testardamente unitari» c’è la consapevolezza che se non si ragiona insieme, Pd, Avs, M5s e forze riformiste, e non solo come una sommatoria di sigle, non c’è speranza di dare una speranza al paese. Il Pd ha una segretaria di sinistra, il M5s si è radicato a sinistra, Avs è di sinistra: vi contendete lo stesso elettorato? No. Intanto i dati delle europee dicono che fra destra e centrosinistra ci sono pochi punti di differenza. E poi ancora no: ci sono praterie nell’astensionismo. Lì non servono le alchimie ma le proposte convincenti. C’è chi dice, più o meno in pubblico, che Schlein non è adatta a allargare l’alleanza. Per lei lo è? Tre anni fa si diceva che non sarebbe stata in grado di vincere; poi di fare la segretaria. Tutte cose smentite dai fatti. Sicuramente il modo di interpretare questo ruolo, per Elly, è diverso dal passato. E come in tutti i cambiamenti, c’è chi non lo vive bene, e ci sono forze che lo giudicano in modo negativo. Ma noi dobbiamo andare avanti.