Nessun decreto, il caso Forza nuova sembra essere stato archiviato dal governo Draghi. A un mese dall’approvazione delle mozioni di camera e senato che chiedevano lo scioglimento dell’organizzazione neofascista, il governo Draghi non ha fatto alcun decreto. L’antifona si era capita da subito. Ma c’è anche qualcosa di più: palazzo Chigi ha fatto anche perdere le tracce degli esperti che avrebbero dovuto approfondire dal punto di vista giuridico il caso, secondo le ampie rassicurazioni fatte filtrare all’indomani dell’assalto alla sede nazionale della Cgil. 

La denuncia è del forum delle associazioni antifasciste (dei partigiani dell’Anpi, dei perseguitati politici dell’Anppia, degli ex deportati dell’Aned e dei partigiani cristiani dell’Anpc). «Fin qui non è successo nulla», secondo Gianfranco Pagliarulo, presidente Anpi. Il  forum rilancia la richiesta contenuta nelle mozioni parlamentari, con qualche sfumatura diversa fra camera e senato.

Poi c’è la storia dei giuristi: «Abbiamo appreso solo dalla stampa dalla presenza di questo gruppo di esperti che sta studiando la questione, finora non abbiamo avuto contatto con loro, non sappiamo chi siano, né se si sono mai riuniti. Questo non è buono per la trasparenza del procedimento». 

Da palazzo Chigi la consultazione, o la richiesta di singoli pareri pro veritate, dev’essere stata fatta in maniera così discreta che nessuno ne sa nulla. A chiedere, si viene rimbalzati verso il Viminale che segue il dossier «a seguito del procedimento giudiziario in corso».

Ovviamente il Viminale segue il dossier e le inchieste in corso perché «è un caso vivo», viene spiegato. Ma la legge Scelba (la 645 del 1952, che applica la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione)  prevede due modalità di scioglimento: la prima appunto su proposta del ministro dell’Interno «qualora con sentenza risulti accertata la riorganizzazione del disciolto partito fascista»; la seconda per iniziativa diretta del governo «nei casi straordinari di necessità e di urgenza». 

Nel primo caso i tempi sono lunghi:  sulle vicende del «sabato fascista» non ci sono ancora neanche rinvii a giudizio, e nell’eventualità bisognerà capire quali reati vengano contestati. 

Il secondo caso, cioè lo scioglimento prima di una sentenza della magistratura, sarebbe «una  prima volta nella storia della Repubblica»,  spiega Emanuele Fiano (Pd), eppure «i requisiti di necessità e urgenza sembrano esserci, se gli arrestati vengono ancora trattenuti in custodia cautelare». Così la pensa anche il costituzionalista Massimo Villone, perché «non si parla solo dell’assalto alla Cgil, che è l’elemento più esecrabile. Quello stesso giorno era in programma un assalto alle istituzioni. Il governo non può fare finta di nulla.

A meno che non voglia nascondersi dietro gli esperti e dimenticare che tutto questo non sia accaduto. Ma non è possibile: anche l’inerzia è un’assunzione di responsabilità politica». Polemica diretta anche da parte della senatrice Monica Cirinnà (Pd): «Nominare un gruppo di lavoro è il metodo migliore per prendere tempo. Il gruppo di esperti non serve a niente, c’è un atto parlamentare, si dia seguito». 

Ma da palazzo Chigi non cava ragno da buco: né si riesce a sapere se la decisione di aspettare una (eventuale) sentenza della magistratura è stata presa, come sembra nei fatti, o se invece è ancora da prendere. Né se, nel primo caso, la scelta  sia stata fatta per realpolitik, ovvero perché la parte destra della maggioranza era contraria allo scioglimento di Forza nuova, o sulla base di pareri giuridici non resi pubblici, almeno finora.

Le associazioni chiedono al governo e alle istituzioni una ripresa di attenzione, dopo la visita di Mario Draghi alla Cgil a poche ore dalla devastazione e la manifestazione dei sindacati.

 In alcuni comuni sono stati cancellati i regolamenti che impediscono la concessione di sale o patrocini alle associazioni che non accettano di riconoscersi nei valori costituzionali, ricorda Serena Colonna dell’Anppia. Nelle manifestazioni No vax ormai le infiltrazioni neofasciste sono all’ordine del giorno, sottolinea Dario Venegoni dell’Aned; bisogna anche «ripulire le istituzioni dalle infiltrazioni fasciste», aggiunge, chiedendo le dimissioni di Fabio Meroni, consigliere provinciale della Lega, già parlamentare del Carroccio, che ha insultato su Facebook Liliana Segre chiamandola  con il numero di internamento nel lager di Auschwitz (poi si è scusato).

Maria Pia Garavaglia, presidente dell’Anpc, chiede di modificare la normativa nazionale perché alla amministrazioni comunali, cui spettano le decisioni sulla toponomastica delle città, «non sia più possibile intitolare piazze o strade a chi si è reso complice del fascismo». C’è una proposta di legge  firmata dai  deputato dem Andrea De Maria, Fiano e dal capogruppo di Leu Federico Fornaro. 

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