È iniziato in commissione Cultura alla Camera l’esame del cosiddetto Ddl Valditara, ovvero il disegno di legge che, in nome di una “virtuosa” alleanza scuola-famiglia, introduce il “consenso informato preventivo” dei genitori per attività che riguardino «temi attinenti all’ambito della sessualità». Si tratta di uno strumento che risponde alle rivendicazioni del Family Day e che rientra in un progetto più ampio di sicurezza e di sorveglianza educativa.

Una richiesta del Family Day

Nel 2015, il comma 16 della legge sulla Buona scuola introduceva la promozione «nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Non a caso, quello stesso anno, lo slogan della manifestazione del Family Day era “Stop gender nelle scuole”.

Era l’epoca in cui attivisti pro-life del calibro di Massimo Gandolfini, leader del Family Day appunto, tra molti altri, organizzavano (generalmente nelle parrocchie) conferenze e incontri per allertare sul pericolo insito in progetti e attività che avessero a che fare con temi quali la parità, l’uguaglianza, il rispetto, le discriminazioni, l’omolesbobitransfobia, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, insomma sul pericolo della “teoria” o “ideologia gender”.

Tali iniziative rientravano in una mobilitazione strategicamente collocata a destra da cui emersero poi la candidatura di Simone Pillon, il supporto parlamentare di Lucio Malan, o la nomina ministeriale di Eugenia Roccella. Il Family Day appariva allora come il nome di un nuovo conservatorismo reazionario di lotta e, da lì a poco, di governo.

Nel 2017, anche per rispondere a queste istanze, nelle “Linee guida nazionali per l'attuazione del comma 16 della legge 107 del 2015”, emanate dall’allora ministra dell’istruzione Fedeli, si precisa (citando una circolare del 2015 a firma Giannini): «Tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né le “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo». Ancora, nel 2018, il ministro Bussetti emana una Nota per insistere (ribadendo quanto già previsto dal Piano triennale dell’offerta formativa – Ptof) sul “consenso dei genitori” per qualsiasi attività extracurriculare. Sembrava l’ultimo atto di un ciclo di mobilitazione, ma era solo l’inizio.

Il Ddl Valditara vieta l’educazione sessuale nelle scuole primarie e subordina ogni attività su questi temi alla valutazione e al “consenso informato preventivo” dei genitori nelle scuole secondarie. Ma non è tutto. L’onorevole Sasso (Lega), relatore in commissione Cultura, a sua volta primo firmatario di una proposta simile presentata a febbraio 2025, ha dichiarato di voler cogliere l’opportunità per ulteriori interventi. Sul linguaggio ampio e inclusivo (uso dei pronomi, schwa).

Ma anche sulla pratica della “carriera alias” (già adottata da un importante numero di scuole), ovvero quell’accordo di riservatezza tra studente e amministrazione scolastica che permette l’uso di un nome di elezione diverso da quello indicato sui documenti di identità per studenti che vivono la propria identità di genere in maniera non binaria, non conforme, o meglio, autodeterminata.

Un paradigma securitario

Due sono i presupposti su cui si fondano queste proposte. Il primo, ideologico, è che la costruzione della propria identità (non solo di genere) deve essere limitata all’interno di binari rigidamente preimpostati sul codice della normalità e dei valori tradizionali.

Il secondo, anti-scientifico, è che l’identità di genere, ovvero il modo in cui viviamo, anche in maniera creativa, il genere (o più generi, o altri generi, o nessun genere) non è riconosciuta come una dimensione della soggettività, ma viene interpretata – ovviamente solo quando la sua espressione non è conforme al sesso iscritto all’anagrafe – come una condizione patologica da contenere e riparare. Sono i presupposti del discorso anti-trans, dell’attivismo genitoriale anti-gender, del cosiddetto femminismo gender-critico transescludente, dei movimenti neocattolici, della “verità biologica” di Trump, e anche del governo Meloni.

Il paradigma che sorregge il Ddl Valditara è quello della sorveglianza: la scuola non più intesa come spazio di formazione e di cura, ma come centrale operativa di controllo e di sorveglianza educativa, in cui tutto ciò che è identificato come altro, diverso o non conforme viene monitorato, limitato, aggiustato o eventualmente espulso. Si tratta di un progetto che mira a disattivare, pezzo dopo pezzo, il potenziale di emancipazione di un’educazione laica e pluralistica, e le capacità di azione, di autonomia e di libertà della comunità educante.

Il consenso informato è dunque uno dei tanti strumenti delle politiche di sicurezza che l’attuale maggioranza ha fin da subito posto tra le priorità dell’agenda di governo, e un attacco alla scuola pubblica come presidio democratico.

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