Si era mai visto uno sciopero generale della scuola che se la prende con il governo, con il presidente del Consiglio ma non con il ministro dell’Istruzione? Scena rara e curiosa, quella che si è vista ieri nella piazza Santi Apostoli di Roma gremita di professori contro il decreto legge 36 che, denunciano i sindacati, taglia oltre diecimila posti di lavoro in cinque anni con la “scusa” della denatalità – archiviando dunque per sempre i buoni propositi della pandemia, quelli di diminuire il numero degli studenti per classe – e «usa la formazione dei docenti come strumento di selezione». I sindacati hanno esultato al successo dello sciopero, anche se alle 17 le rilevazioni della Funzione pubblica sulla metà degli istituti italiani davano a poco più del 15 per cento la quota delle adesioni.

Il decreto taglia posti

Il decreto è firmato dal premier Mario Draghi, dai ministri e anche, naturalmente, dal ministro Patrizio Bianchi (che ieri, in segno di considerazione dello sciopero, non ha partecipato in presenza ad un’iniziativa torinese dell’associazione dei presidi). Il suo staff assicura che è il ministro l’autore del testo. Eppure neanche il più agguerrito sindacalista se la prende direttamente con lui. Il perché ci viene spiegato a più voci: «Bianchi non c’entra nulla», «è solo un passacarte».

Le affermazioni vengono dimostrate così: poco prima del primo maggio, data di pubblicazione in gazzetta del decreto, il ministro ha convocato le forze politiche per illustrare la proposta; subito dopo i sindacati, ma presentando un testo un po’ diverso; infine quello pubblicato è ancora diverso. Conclusione: la riforma della scuola, la prima delle sei scritte nel Pnrr, è farina del sacco di palazzo Chigi.

E questo ai sindacalisti di lungo corso ricorda un’altra riforma della scuola, la più contestata di tutte, la (cosiddetta) «buona scuola» di Matteo Renzi che nessuno ricorda con il nome della ministra titolare, Stefania Giannini: «Oggi siamo alla “Buona scuola 2 – la vendetta”. Vediamo la stessa determinazione del maggio 2015 con la legge 107. E diciamo ancora no», dice Pino Turi, segretario della Uil scuola. Attenzione: per la comunità scolastica evocare quella stagione significa lanciare il grido di battaglia.

La valutazione

Il decreto 36 contiene due delle sei riforme della scuola richieste dal Pnrr, per un totale di 17,59 miliardi, la maggior parte dei quali destinati all’edilizia: quella sul reclutamento e la creazione. Due i canali della formazione degli insegnanti: quella obbligatoria, all’interno dell’orario di lavoro, sulle competenze digitali; e quella facoltativa, da svolgersi in orario aggiuntivo, destinati ai docenti di ruolo, e al termine dei quali è possibile ricevere un incentivo. Quanto al reclutamento dei docenti, l’abilitazione all’insegnamento nella secondaria si baserà sui crediti formativi (i “Cfu”).

Nell’ambito di un percorso abilitante, l’aspirante insegnante dovrà conseguire almeno 60 crediti e superare un esame finale comprendente una prova scritta e una lezione simulata. Solo così il docente abilitato ha accesso al concorso.

Una volta vinto, dovrà superare un anno di prova durante il quale dovrà lavorare per almeno 180 giorni. Alla fine sarà sottoposto a un test e a una valutazione da parte del dirigente scolastico. Se non lo passa potrà ripetere l’anno (e il test) una sola volta. Fino al 2024 è prevista una fase transitoria: se non ha i 60 crediti, chi vince il concorso avrà un contratto part time per poter conseguire i 30 mancanti, a spese sue. Alimentando così un mercato già fiorente di proposte. I sindacati contestano la mancanza di misure che garantiscano l’accesso all’abilitazione ai precari con tre anni di servizio, i “precari storici”.

Il nuovo contratto

La protesta si incrocia con il rinnovo del contratto degli insegnanti. Secondo i sindacati la sovrapposizione fra formazione e incentivi è indebita. Ma soprattutto il punto è che ci sono poche risorse per un milione 200mila prof, ai quali vengono offerte 40-50 euro netti pro capite.

Ieri confederali e autonomi sono tornati in piazza insieme. Non si vedeva da tempo, dalla riforma Renzi. E, in tempi più recenti, contro i concorsi della ministra Lucia Azzolina, nel secondo governo Conte. «Questo decreto istituisce un sistema di formazione selettivo che viene finanziato tagliando gli organici. Non si riconoscono i precari e il loro valore. Ci si sta approfittando della denatalità con un calcolo che permetta di risparmiare sulla scuola», secondo Francesco Sinopoli di Flc Cgil.

Il decreto dovrà essere convertito entro fine giugno. L’iter è partito dal Senato. Il Pd promette modifiche sulla fase transitoria, sulle prove concorsuali a risposta multipla (i famigerati test a crocette), e sulla restituzione dello spazio alla contrattazione collettiva. Anche la Lega chiede di ascoltare gli insegnanti. Ma il ministro Bianchi frena gli entusiasmi: migliorare il testo si può, anche se i tagli «erano previsti a causa del calo demografico».

Ma in commissione ha messo le mani avanti il ministro: «L’impianto non può essere sradicato», perché «la Commissione europea ci chiedeva un percorso standard per gli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado, per questo abbiamo fornito un percorso standard per chi vorrà fare l’insegnante».

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