Per Ignazio La Russa, ottenere la guida del Senato e diventare la seconda carica dello stato è stata la soddisfazione più grande: simbolo che quella destra in cui lui ha militato sin da ragazzo si è imposta in tutte le sedi istituzionali.

Per dirlo con le sue parole durante la trasmissione Porta a Porta, «rappresenta il superamento di un antico pregiudizio». Nel suo primo discorso da presidente, l’avvocato milanese nato in Sicilia che fu adolescente nel Fronte della gioventù e parlamentare per nove legislature ha ammesso la sua natura, «sono stato sempre un uomo di parte, di partito più che di parte», ma ha giurato che «in questo ruolo non lo sarò».

Eppure, passata l’ebrezza dell’insediamento, La Russa ha scoperto subito che la sedia in velluto rosso è bella ma scomoda perché limita i movimenti. In questo primo mese lui si è dimenato, cercando di allentare le briglie degli obblighi imposti alla seconda carica dello stato. È riuscito poco e male, però, a placare la sua indole istrionica e la smania di essere parte dell’agone politico.

Le gite a via della Scrofa

Che gli ori di palazzo Madama non facessero per lui – che per altro ha sempre amato più la Camera dove è stato eletto per sette mandati – lo ha dimostrato subito.

Un presidente del Senato, arbitro e carica istituzionale, dovrebbe tenersi ben lontano non solo dagli altri luoghi della politica, ma soprattutto dalle case dei partiti. Invece, su Ignazio La Russa via della Scrofa, sede storica del Msi e ora di Fratelli d’Italia, ha sempre esercitato un’attrattiva irresistibile. Tanto irresistibile da attirarlo in quella via stretta proprio nel giorno in cui l’ingresso era presidiato da centinaia di fotografi per l’attesissimo incontro della premier in pectore, Giorgia Meloni, con l’alleato Silvio Berlusconi, per la prima volta costretto all’umiliazione di non essere il padrone di casa di una riunione politica.

Tutti aspettavano alla porta di fotografare i due leader, invece i cronisti allibiti hanno visto sgattaiolare fuori il neopresidente del Senato, eletto da appena una settimana e già beccato a infrangere l’etichetta. «Non sono in grado di darvi notizie, né di incidere in quel che sta avvenendo», ha provato a schernirsi La Russa, cui però l’atteggiamento schivo non si confà. Infatti, subito dopo, ha aggiunto sibillino «e se lo fossi, non ve lo direi mai». Ha detto che era lì per la fondazione di Alleanza nazionale e non per l’incontro con Berlusconi, ma la coincidenza non ha convinto nessuno.

Anche perché, appena qualche ora prima in Senato, si era lasciato scappare un «auspico che sia un incontro risolutivo, ne sono convinto», commentando il gelo tra il Cavaliere e Meloni dopo le foto sei suoi appunti poco lusinghieri nei confronti della leader di FdI. Del resto, a La Russa è sempre piaciuto intrattenersi coi giornalisti e giocare sul dico-non dico.

Il piacere della battuta

Il contegno è un’arte che il presidente del Senato fatica a praticare, soprattutto quando stuzzicato da domande che lo divertono. Breve elenco non esaustivo dell’ultimo mese: «Se c’è una incompatibilità» con la guida del club parlamentare dell’Inter «mi dimetto dalla presidenza del Senato».

Poi la sua bizzarra presenza nel suo collegio elettorale, a inaugurare il prolungamento della Tangenziale Nord A52 a Paderno Dugnano, vicino al ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. In quella sede è intervenuto sul tema para-calcistico di San Siro, suggerendo al sindaco di Milano, Beppe Sala, di non abbattere lo stadio e ha lodato il candidato di centrodestra alle regionali, Attilio Fontana. Sempre da Milano - dove ama le presentazioni e domenica ha partecipato a quella della fondazione Ospedale Niguarda - è tornato a parlare disinvoltamente di politica, commentando le notizie di giornata: ha definito «una sciocchezza» il possibile bonus per i matrimoni in chiesa e si e detto «pienamente d’accordo» sul il delicatissimo tema dell’autonomia, ma va «contemperata con contrappesi».

Nota di colore, uno dei suoi divertimenti quando guida l’aula del Senato è quella di chiosare con battute gli interventi dei senatori. Per esempio, dopo l’intervento del senatore di FI, Francesco Silvestro, lo ha ringraziato con un «Grazie Silvestro per niente maldestro».

L’irritazione del Quirinale

Al netto delle battute, però, la sua straripanza verbale ha provocato già un quasi scontro con il Quirinale. Nei giorni difficili della crisi diplomatica tra l’Italia e la Francia sul caso Ocean Viking, il capo dello stato Sergio Mattarella è intervenuto con una telefonata distensiva al presidente francese Emmanuel Macron.

Galateo istituzionale avrebbe voluto che le mosse del Colle – concertate con palazzo Chigi – non venissero commentate. Invece, la seconda carica dello Stato ha lasciato sbigottito il Quirinale con un intervento politico per nulla conciliante, per di più nel contesto surreale dell’inaugurazione della tangenziale milanese: «Credo che l'opera del Colle sia sempre utile, ma credo anche che la fermezza del nostro governo possa e debba essere condivisa». Silenzio gelato dal Colle davanti allo sgarbo irrituale.

La Russa ha capito di aver travalicato nella smania di dare sponda al governo: i giudizi politici non sono nelle prerogative del suo ruolo. Per metterci la proverbiale pezza, però, ha peggiorato la situazione: ha smentito frizioni con Mattarella – «non mi risulta, il presidente sa leggere bene le dichiarazioni» – sempre nello stesso modo: commentando i retroscena, mentre si intratteneva coi cronisti a palazzo Madama.

Con questi presupposti, i cinque anni di La Russa alla guida del Senato saranno un appassionante teatro per le cronache e un calvario per i custodi dell’ortodossia istituzionale e per l’equilibrio delle istituzioni stesse.

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