Mario, nome di fantasia, aveva 17 anni quando ha detto ai suoi genitori, una famiglia benestante della provincia di Milano, di essere gay. Il giorno dopo, i genitori gli hanno fatto trovare in camera uno zainetto in cui avevano raccolto il poco che ritenevano fosse necessario prima di metterlo alla porta. Da allora Mario ha dormito per strada, chiesto aiuto a sconosciuti contattati via chat che saltuariamente gli hanno dato un letto e pochi soldi, infine ha conosciuto To-housing, un progetto dell’associazione Quore che dal gennaio 2019 accoglie in cinque appartamenti di Torino persone Lgbtq+ - giovani cacciati di casa, migranti, transgender - con fragilità e senza fissa dimora. «Mario è stato con noi per un po’, ha frequentato un corso di formazione, adesso ha un lavoro e un compagno ed è autonomo. In due anni e mezzo abbiamo accolto una cinquantina di persone come lui: il nostro obiettivo è dare a tutti gli strumenti per diventare indipendente», spiega Alessandro Battaglia. 

Diritto alla casa

Il diritto alla casa sta diventando nell’Italia e nell’Europa post-pandemia una delle rivendicazioni centrali dei movimenti Lgbtq+ e la vicenda di Malika, la ragazza di Castelfiorentino cacciata di casa perché lesbica, è più comune di quanto si pensi. Secondo una ricerca di Ilga Europe, il 60 per cento delle organizzazioni Lgbtq+ in 32 Paesi europei sta lavorando a sostegno di giovani senzatetto. Allo stesso tempo, il 60% delle organizzazioni che lavorano con persone senza fissa dimora dichiara di occuparsi di persone omosessuali, bisex, transgender e la federazione che le riunisce, Feantsa, ha proposto una partnership stabile con il mondo Lgbtq+ per affrontare assieme la questione. 

Ad oggi non ci sono stime affidabili sul numero di persone Lgbtq+ in Europa che affrontano il dramma di non avere un tetto sotto cui dormire, ma la percezione è che il loro numero stia crescendo molto. Negli Usa, dove ci sono ricerche più approfondite, si stima che siano il 40 per cento dei giovani senza fissa dimora. 

Secondo la ricerca di Ilga Europe, i lunghi periodi di lockdown hanno esasperato i conflitti familiari tra figli e genitori omofobi, mentre gli effetti economici della pandemia si sono scaricati con più violenza sulle persone fragili già a rischio di discriminazione. Battaglia conferma: «Nell’ultimo anno sono cresciute di molto le richieste di accoglienza da parte di giovani che non riescono più a vivere in famiglia, mentre le persone migranti e le persone transgender difficilmente riescono a trovare casa, perché discriminati dagli affittuari. Infine, c’è un problema economico, comune a tutti i giovani: pagarsi una casa da soli è molto difficile, anche quando hai un lavoro. Per questo proponiamo e promuoviamo soluzioni di coabitazione per chi conclude il suo percorso con To-housing».

Oltre le vecchie distinzioni

Il fenomeno dei senza fissa dimora Lgbtq+ racconta la crisi economica e il persistente stigma che molti giovani devono affrontare in famiglia, considerato nei mesi di pandemia il luogo “sicuro” per eccellenza ma che molti non lo è affatto. È una sfida anche per le associazioni che devono ampliare il loro perimetro di intervento in una logica che viene definita “intersezionale” e che mira cioè a proteggere soprattutto quelle persone la cui discriminazione è frutto del sommarsi di diversi fattori: il loro orientamento sessuale, l’identità di genere, ma anche l’appartenenza a minoranze etniche o religiose, lo status di migrante o l’indigenza economica. La vecchia distinzione tra diritti individuali e sociali è saltata e molte città stanno seguendo l’esempio di Quore a Torino. Il ddl Zan in questo senso è giudicato di vitale importanza anche perché non si ferma alle misure repressive, ma all’articolo 9 prevede il sostegno alle iniziative tese ad aiutare le vittime di odio omotransfobico, spesso in difficoltà dopo aver denunciato.

A Milano gli organizzatori del Pride hanno deciso di costituire con i fondi raccolti nel 2020 il Rainbow Social Fund a sostegno di iniziative sociali sul territorio milanese. Parte dei fondi è andato a Casa Alba, una casa di accoglienza per donne senza fissa dimora (le donne transgender sono tra i soggetti più vulnerabili). Con altri fondi si è dato l’avvio a un progetto di “housing assistito” per richiedenti asilo Lgbtq+, già accompagnati dall’associazione Cig Arcigay di Milano e che ora si fa garante presso le cooperative che gestiscono gli affitti, aiutando gli inquilini anche con l’acquisto dei mobili e il pagamento delle bollette. «È la risposta che la Comunità Lgbtq+ di Milano e provincia ha dato all'emergenza socioeconomica innescata dalla pandemia da Covid-19», spiega Fabio Pellegatta, presidente di Cig Arcigay di Milano.

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