Senza Pnrr l’Italia affonda. Troppi i ritardi sull’energia

I numeri, soprattutto quelli complessi, possono adattarsi a molte letture – in particolare quelle politiche – a seconda di quali si scelgono. È stato così anche con la relazione della Corte dei conti sullo stato di attuazione del Pnrr per il primo semestre del 2025: la terzultima, considerando che il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione europea si concluderà a giugno 2026. Così da un lato il capogruppo alla Camera di FdI, Galeazzo Bignami ha sostenuto che si sia così «certificato il buon lavoro del governo» perché «non solo sono stati conseguiti tutti i 32 obiettivi in scadenza nel primo semestre del 2025 ma si è registrata nell’ultimo semestre una accelerazione nel tasso di avanzamento delle opere di ben sei punti percentuali». Nascondere i ritardi del Pnrr. Meloni s’aggrappa alle mele Dall’altro il verde Angelo Bonelli si è incaricato di ricordargli come proprio Fratelli d’Italia sia stato il partito che si è astenuto su Recovery Fund e Pnrr e che «il dato diffuso dalla Corte dei conti certifica senza ombra di dubbio che l’Italia, senza il Pnrr, sarebbe in recessione. A questa realtà devono rispondere Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che il Pnrr non lo volevano». Al netto dell’enfasi politica, il report della Corte dei conti offre uno spaccato della situazione che va interpretato a partire da un elemento: l’intensificazione delle attività previste e della concentrazione degli sforzi avviene nella fase finale del Piano. Alla luce di questo, dunque, è vero che i 32 obiettivi del primo semestre 2025 sono stati raggiunti, ma la sezione di controllo ha segnalato che «rimane ancora arretrata la spesa del nuovo capitolo RePower Eu (0,5 miliardi, 2,2 per cento)». Quanto alle altre missioni, le più arretrate sono «la missione 5 (27 per cento) e soprattutto la 7 (5,4 per cento)». Ovvero rispettivamente quella che riguarda «Inclusione e coesione» (politiche per il lavoro, infrastrutture sociali, terzo settore, Mezzogiorno e aree interne) e appunto il RePower Eu, che riguarda energia, transizione energetica e reti. Dopo il Pnrr niente, il governo non ha una visione del paese Quanto all’impatto sul Pil, secondo le stime, è stato di 0,8 punti percentuali nel 2024 e 0,9 nel 2025, «per poi salire a 1,7 punti nel 2026 e a 1,8 nel 2027». E questo perché si è beneficiato «di una composizione della spesa caratterizzata da una componente di investimenti particolarmente elevata». Se le stime fossero confermate (come nota la stessa Corte, differiscono leggermente rispetto a quelle del ministero dell’Economia) effettivamente il piano europeo è stato fondamentale per tenere a galla l’economia italiana. Le criticità La relazione, però, evidenzia anche alcune criticità. Una in particolare riguarda l’avanzamento degli investimenti in opere pubbliche, per cui sono allocati circa 78 miliardi di euro: «Il programma sta procedendo, ma senza che vi siano segnali di una sua effettiva accelerazione. I progressi segnati dalla chiusura delle singole fasi e il passaggio alle successive hanno interessato una percentuale ancora bassa di progetti». Non solo, tendono ad allungarsi anche i tempi di lavorazione con quasi 18 mesi necessari a chiudere i progetti (due mesi in più rispetto a gennaio 2025). A certificare questo affanno, in giugno, era stata un’analisi dell’associazione Federcepi costruzioni, citando uno studio di Banca d’Italia e Ance, l’associazione dei costruttori: fino all’inizio della primavera il 40 per cento dei cantieri era segnalato in ritardo. Secondo la Corte dei conti, il rallentamento è dovuto al fatto che le opere in corso hanno una dotazione finanziaria progressivamente sempre maggiore e «l’analisi condotta mette in evidenza la forte dipendenza della durata dei lavori dal loro importo finanziario, con tempistiche che tendono ad aumentare al crescere della dimensione economica in tutte le fasi di esecuzione». Un fenomeno, questo, che rischia di aumentare: «Poiché la dotazione finanziaria media delle opere aggiudicate è di 4,5 milioni, è presumibile che i tempi dei lavori tenderanno ad allungarsi ulteriormente, man mano che giungeranno in esecuzione gli investimenti finanziariamente più consistenti». Proprio questo rischia di essere un problema, perché tutte le opere devono essere completate entro un termine stabilito e dunque le amministrazioni responsabili dovranno monitorare con ancora maggiore attenzione i tempi realizzazione. Ponte sullo Stretto, le motivazioni della Corte dei Conti: violate le direttive Ue Analizzando proprio questi numeri, la Corte dei conti ha fatto emergere un ulteriore dato: la durata di lavori nel Mezzogiorno è inferiore rispetto a quella delle regioni del Centro-Nord. Con però due possibili interpretazioni: «Ciò potrebbe riflettere, da un lato, la minore dimensione finanziaria media dei lavori realizzati nelle aree meridionali, dall’altro lato, potrebbe anche segnalare l’efficacia delle procedure adottate con il Pnrr nel contrastare i ritardi di attuazione a cui vanno tradizionalmente incontro le regioni meridionali». La sintesi della magistratura contabile, dunque, è quella di un Piano che ha dato una determinante iniezione di risorse che hanno tenuto la crescita italiana sopra lo zero e che sta procedendo, anche se nei prossimi mesi servirà un’accelerazione. Con due punti di criticità a cui il governo dovrà prestare attenzione: i lavori pubblici, che rischiano di non essere completati, e la spesa ancora troppo ridotta per la transizione e l’efficienza energetica.